Sono sempre più in difficoltà, ma nonostante tutto, non si abbattono e non si arrendono, confidando sempre nella mano del Signore.
Un sacerdote francescano racconta, in un’intervista cosa significhi vivere in una regione controllata dagli jihadisti. La paura, l’angoscia, le chiese distrutte, ma una fede che non crolla.
Padre Hanna Jallouf, in un’intervista, racconta, nello specifico, come una piccola comunità cristiana, in Siria, a Knayeh, vive in un paese a maggioranza musulmano.
Siria, la vita difficile delle comunità cristiane
Tanti danni, chiese e cappelle distrutte: tutto che farebbe pensare a quel “molliamo tutto e andiamo via”. Ed invece no, la fede resiste sempre su tutto e al di sopra di tutto. “Ricostruiamo sempre, dove è possibile” – a dichiararlo, in un’intervista al quotidiano “Avvenire”, è padre Hanna Jallouf, sacerdote francescano che vive in un piccolo villaggio della Siria, a Knayeh.
Quello è un territorio occupato e controllato dagli jihadisti (stiamo parlando della regione di Idlib) e altro tipo di religione, che non sia quella musulmana, ovviamente, non viene accettata. Ma la piccola comunità cristiana non si arrende e continua le sue attività: “I danni sono enormi, stiamo davvero impegnando ma la situazione è davvero difficile” – spiega il sacerdote, che da anni collabora con “Pro Terra Sancta”.
Nel piccolo villaggio di Knayeh, da anni, è presente una piccola comunità cristiana. Dopo il terremoto dello scorso 6 febbraio, ricostruire è stato sempre più difficile perché, in una regione controllata dai ribelli, difficile era anche l’arrivo dei mezzi di soccorso quanto anche di quelli di aiuto e sostentamento. Di conseguenza, la ricostruzione è stata alquanto complessa e difficile.
Padre Jallouf, francescano: “Il terremoto ha distrutto tutto”
Padre Jallouf spiega che “l’80% delle case di Knayeh è stato distrutto. Anche il villaggio di Jdaide è stato gravemente danneggiato, i danni maggiori però si sono verificati a Yacoubieh, a partire dal nostro convento e nella chiesa, che è crollata interamente”. Chiese e cappelle, infatti, sono andati per la maggior parte distrutti, e non solo per il terremoto.
“La comunità si è subito messa al lavoro per sgombrare le macerie e riparare il riparabile” – ha spiegato il sacerdote. Ma ciò che maggiormente lo ha colpito è stata, sì, la distruzione ma il vedere proprio quella piccola comunità di cristiani fuggire e rifugiarsi nel campo profughi: “È la prima volta che succede, in tutti questi anni, ed è preoccupante, segno di una situazione davvero grave” – spiega amareggiato e preoccupato.
La celebrazione della Pasqua
Nonostante tutto però, la piccola comunità cristiana lì presente non si è mai arresa, tanto da esser riuscita, anche, a celebrare la Santa Pasqua: “Abbiamo creato due cappelle per celebrare, in attesa di poter ricostruire la chiesa che è andata distrutta” – spiega padre Jallouf ad Avvenire.
La fede e la presenza di Cristo accanto anche alle piccole comunità cristiane si sente, ed è sempre viva, nonostante tutto.