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Opinioni e Approfondimenti

Coronavirus: “Dio c’entra, ma nel bene”. La risposta del teologo

In questi giorni, c’è chi si è domandato: ma il Coronavirus è un castigo del Signore all’umanità? Può il Signore volere il male dei suoi figli? La risposta del teologo non si è fatta attendere.

Certo che Dio c’entra con questa epidemia. “Dio con questa epidemia c’entra eccome!”, ha spiegato il vescovo di San Miniato, Andrea Migliavacca. “Ma nel bene”. Infatti c’è chi non ha esitato a intravedere in questo virus qualcosa come l’inizio dell’Apocalisse, o la fine dell’umanità.

L’epidemia è un avvertimento, per seguire il bene

Come se Dio ci mettesse alla prova. Il che può anche essere corretto, ma soltanto a patto che si comprenda bene il significato di questa affermazione, come spiegato ad esempio il cardinale Angelo Comastri, arciprete della Basilica papale di San Pietro in Vaticano. Il Signore ci mette di fronte a degli ostacoli, ma lo fa sempre e solo per il nostro bene, per darci l’occasione di crescere e di puntare a un bene più grande.

“La prova di questa epidemia è un avvertimento. È qualcosa che Dio usa per farci riflettere, per spingerci sulla strada del bene. Non perdiamo l’occasione”, ha infatti affermato Comastri durante la celebrazione della liturgia nella Basilica di San Pietro.

Perché Dio permette le epidemie?

Tuttavia, la domanda che molti si fanno riguarda l’origine e il significato del male nel mondo. Perché Dio, che è un Padre buono, permette queste sciagure? Un buon padre non dovrebbe punire i propri figli.

“Dobbiamo dunque dire che Dio non c’entra con questa epidemia? No”, è la risposta di don Francesco Vermigli, docente di Teologia dogmatica. “Anzi: c’entra eccome! Ma nel bene”.

Il male deve diventare un bene morale

Cosa intende dire don Francesco con le sue parole? “Che ogni crisi, anche una crisi civile e sanitaria come quella del Coronavirus, può davvero diventare occasione di una conversione del nostro modo di stare nella realtà”.

Infatti, il punto messo in luce dal sacerdote è che il male cosiddetto “pre-morale”, in realtà può e anzi deve necessariamente diventare un bene morale, qualcosa che ci mostri l’amore di Dio verso di noi e ci spinga a ricercarlo con ancora più forza e intensità. Che il male possa essere cioè un’occasione di verifica della nostra fede, e la possibilità di sperimentare soltanto un’infinita parte della passione e del dolore della Croce che visse Gesù Cristo per la salvezza di tutti noi.

Dio è al centro anche in questi momenti

“La diffidenza sociale dovrà sostituirsi con la prossimità ai sofferenti – nonostante le pur doverose misure precauzionali – l’egoismo deve lasciar spazio alla carità, l’indifferenza religiosa farsi fiducia costante nel Signore“, spiega infatti il sacerdote.

Per questo Dio occupa un posto di assoluto rilievo, ora più che mai, in questo momento di sofferenza. Proprio per questo se ne sente nella maniera più assoluta la sua necessità, ancor più ora che le Messe non possono essere celebrate, e non ci si può confessare fisicamente con i nostri sacerdoti.

Nella prova i cristiani sono chiamati alla preghiera

In questi momenti di prova, i cristiani sono chiamati ad invocare la presenza del Signore con ancora più intensità, facendosi prossimi a chi ne ha bisogno, impegnarsi con tutto sè stessi per il bene comune.

la preghiera conduce al Signore (photo web source)

“Alla Chiesa, in un contesto come questo, è richiesto in un modo del tutto particolare e profetico di farsi testimone di speranza e di fiducia nella forza e nella benevolenza di Dio per gli uomini”, dice il teologo. E non possiamo che associarci totalmente a lui.

Giovanni Bernardi

Fonte: aleteia.it

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