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Silvia Romano. La libertà non è nel velo ma nello scegliere il vero Bene

Nelle scorse settimane ha fatto molto discutere un’intervista a Silvia Romano, la ragazza rapita dai terroristi islamici e tornata in Italia dopo essersi convertita all’islam.

A realizzarla, l’attivista Hamza Piccardo, già segretario generale dell’Ucoii, associazione nota per essere tacciata di simpatie verso il gruppo fondamentalista dei Fratelli Musulmani. In quei giorni gran parte dei giornali hanno riportato, nel titolo, il virgolettato delle parole della donna: “Il velo è per me simbolo di libertà”.

Le parole di Silvia Romano e il relativismo imperante

L’affermazione è stata infatti pronunciata dalla ragazza anche se all’interno di una risposta più articolata, in cui Silvia affermava che “il concetto di libertà è soggettivo” e quindi anche “relativo”. Parole che suscitano una riflessione, legata al tema della libertà intesa nelle sue varianti.

Quella cioè più marcatamente occidentale, che secondo la ragazza milanese, recatasi in Africa per volontariato senza tuttavia disporre di competenze diplomatiche, sarebbe legata esclusivamente al vestirsi come vuole. E quindi, per le donne, al mostrare le proprie “forme”.

La falsa libertà che impone il velo alle donne

E quella islamica, invece, per cui ora parteggia la ragazza, che sarebbe a suo dire strettamente legata allo strumento del velo, come viene imposto nelle varianti più fondamentaliste del culto musulmano.

“Per molti la libertà per la donna è sinonimo di mostrare le forme che ha; nemmeno di vestirsi come vuole, ma come qualcuno desidera. Io pensavo di essere libera prima, ma subivo un’imposizione da parte della società e questo si è rivelato nel momento in cui sono apparsa vestita diversamente e sono stata fatta oggetto di attacchi ed offese molto pesanti”, ha affermato la donna nell’intervista.

Le parole di Silvia Romano e l’errore che non si vede

“C’è qualcosa di molto sbagliato se l’unico ambito di libertà della donna sta nello scoprire il proprio corpo. Per me il mio velo è un simbolo di libertà, perché sento dentro che Dio mi chiede di indossare il velo per elevare la mia dignità e il mio onore, perché coprendo il mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima. Per me la libertà è non venire mercificata, non venire considerata un oggetto sessuale”.

Le frasi pronunciate dalla Romano nell’intervista, a prima vista, sono certamente interessanti, sotto certi aspetti persino condivisibili. La mercificazione del corpo femminile che l’Occidente consumista utilizza da decenni mostra la superficialità di una miseria spirituale che purtroppo, troppo spesso, si sta insinuando nella nostra società.

Le condizioni terribili in cui vivono molte donne islamiche

Il problema, però, è che la Romano mette da parte un’aspetto importante delle condizioni di vita che le donne islamiche troppo spesso sono costrette a vivere. Forse, perciò, la vera domanda che bisognerebbe farsi è un’altra. Che tipo di libertà è quella che ha deciso di sposare Silvia Romano?

Libertà è una parola importante e delicata. Su questa si è fondata la società occidentale. La libertà infatti, nella concezione classica del pensiero occidentale, si articola in due varianti. Libertà da costrizioni e libertà di fare cioè che si vuole. Ovvero una libertà attiva e una libertà passiva.

L’Occidente che si dimentica di scegliere il Bene dimentica sé stesso

Purtroppo, però, una libertà che si pone solamente il problema di eliminare regole e divieti, come accade in Occidente dalle rivoluzioni studentesche del ’68 in poi, e che si dimentica della libertà di scegliere il Bene, è una libertà sterile. Che rischia di votarsi al male, e di trascinare la persona verso una visione del mondo lontana da ogni valore morale e da ogni virtù.

La libertà attiva, per essere tale, deve quindi essere morale, rivolta cioè al Bene superiore dell’uomo, in ultima a ciò che il Signore predispone per le nostre vite. Una vita fatta di gioia, di bellezza, di bontà e di verità, è una vita libera.

La libertà che comprende il peccato non è vera libertà

Una libertà che invece non si orienti al bene, ma solo all’arbitrio indiscriminato delle proprie azioni, semplicemente non è tale. Perché non si è liberi nel peccato. Questo genere di libertà infatti, come spiegava magistralmente Benedetto XVI, è destinata a perire.

Con lei, anche la società che fonda su questo genere di libertà è destinata a scomparire. Incancrenita da un soggettivismo e da un relativismo che pensa di poter decidere ogni cosa, ma che in ultimo non fa che tracciare la strada dell’autodistruzione umana. La stessa per cui lavora il principe delle tenebre.

La vera libertà non è “contro” ma per un Bene superiore

L’errore che fa la Romano nel vedere nel velo un simbolo di libertà è quello di focalizzare, purtroppo, la sua idea di libertà sul concetto di negazione, di divieto. Una negazione che funge da contraltare alla regola del “vietato vietare“, e all’indiscriminato superamento di ogni vincolo, a cui ormai sembra essersi votato l’Occidente. Dando come risultato quello che è stato rinominato lo scontro di civiltà.

Il conflitto che si viene a produrre è cioè tra la negazione della libertà e la negazione di questa stessa negazione. Ci si dimentica cioè, in sostanza, di focalizzarsi sul vero Bene dell’uomo. Quello che a noi cristiani è stato rivelato per mezzo della venuta del Figlio di Dio, Gesù, sacrificato sulla croce per la salvezza dell’intera umanità, e non solo dei “cattolici”.

AP Photo/Dusan Vranic

Imposizione del velo, esempio di negazione della libertà

L’imposizione del velo è perciò, in conclusione, un classico esempio di negazione della libertà, proprio perché si tratta di un’imposizione. Non si può dire il contrario. Le donne che in molti paesi, ad esempio dell’Africa subsahariana o del Medio Oriente, hanno perso la vita a causa dei loro rifiuti di portare il velo, o per la loro opposizione alla pratica della poligamia, dovrebbero rappresentare per noi Occidentali delle vere e proprie martiri della libertà.

Per questo, parlare del velo come di un simbolo di libertà non rende alcuna giustizia a quelle donne, e su questo Silvia Romano dovrebbe rifletterci. La dignità di cui la giovane scampata al rapimento vorrebbe riconoscere alle donne col velo non trova alcun sostegno nelle vicende delle tante donne schiavizzate, relegate nelle proprie abitazioni, talvolta persino lapidate, ancora oggi.

Le parole di Silvia Romano ci invitano a una seria riflessione

Vicende che nascono da una visione fondamentalista della vita, come quella propugnata dalle parti più radicali della religione islamica, come i miliziani di Al Shabaab che hanno rapito Silvia Romano in Kenya.

Donne islamiche che indossano il velo

Le parole di Silvia Romano, quindi, chiamano in realtà a una seria riflessione. Non solamente sulla condizione delle donne in alcune paesi in cui vive l’islam fondamentalista, questione sulla quale non dovrebbe esserci alcun dubbio. Ma sulla secolarizzazione distorta di un Occidente che ha fatto del relativismo e della libertà incondizionata, anche di compiere il male, il proprio dogma culturale.

L’Occidente ritrovi la vera libertà

Rinunciando alla ricerca del vero Bene e della vera Libertà, l’Occidente ha infatti rinunciato a sè stesso. E ora rischia di condannarsi a un tracollo che sembra storicamente inevitabile. La vera e unica libertà, infatti, è solo quella che deriva dalla Grazia, come affermava Sant’Agostino.

La libertà cioè di amare e di essere amati. La libertà di essere uomini, solidali, che vivono in pace e armonia, che non dedicano la propria vita al peccato ma al compimento delle opere di bene. Che scelgono liberamente di vivere in pienezza, secondo la strada di verità tracciata dal Signore, che è Via, Verità e Vita.

Gesù Regno dei Cieli (photo Pixabay)

La libertà di essere figli del Signore, e per questo amati e compresi da Lui, che ci accompagna, ci consola, ci eleva nello Spirito Santo e ci mette in comunione tra di noi e con Lui. L’Occidente laico e secolarizzato dovrebbe riflettere su questo, partendo dalla dura vicenda di Silvia Romano.

Giovanni Bernardi

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