Il primo luglio del 1967 Ottavio e Gabriella danno il benvenuto a Silvio, il loro primo figlio, quello è il giorno più bello della loro vita, ma la vita de loro primogenito sarà tutt’altro che facile. Silvio cresce con la passione per la scrittura e con un animo nobile, come tutti i bambini ama giocare a pallone e a nascondino, ma a differenza degli altri ha già una spiccata sensibilità e preferisce aiutare il prossimo piuttosto che fare branco.
A dieci anni ha già scritto molto di se ed il suo diario (pubblicato postumo dal padre) ci aiuta a conoscere questa anima candida che il paradiso ha chiamato a se anticipatamente. Nel diario Silvio parla di se stesso sia fisicamente che umanamente, in quelle pagine ci sono racchiuse le sue giornate, la sua anima ed i suoi sogni, in una delle frasi più toccanti lasciateci scrive: “Io sono molto alto, ho i capelli neri e gli occhi castani… Gioco con allegria e se qualcuno si fa male, mi ritiro dal gioco per curarlo… Se incontro qualcuno che chiede l’elemosina, se ho qualcosa, glielo dono con amore… Cerco di essere buono con tutti, ma a volte non ci riesco”.
Ma le due frasi che forse meglio lo descrivono sono le seguenti: “Da grande, farò il maestro, perché mi piace insegnare agli altri” a cui aggiunge: “Gesù è tanto buono che voglio esserlo anch’io”. La madre è orgogliosa di quel figlio così dotato di intelligenza ed altruismo e vuole assecondare ogni suo desiderio affinché possa raggiungere i risultati che desidera, così, per il suo undicesimo compleanno gli regala una macchina da scrivere.
Silvio è al settimo cielo, finalmente può scrivere tutto ciò che desidera, e ringrazia la madre dedicandole le prime parole battute a macchina: “Ti ringrazio, mamma, perché mi hai messo al mondo, perché mi hai dato la vita, che e tanto bella! Io ho tanta voglia di vivere!”. La sua voglia di vivere si scontra presto con la dura realtà, non ancora dodicenne comincia ad avvertire forti dolori alla gamba sinistra, i genitori, preoccupati, lo portano all’ospedale e gli accertamenti danno una diagnosi tragica: cancro alle ossa.
I genitori di Silvio cadono in un baratro di dolore, ma lui, sebbene sappia che presto dovrà abbandonare quella vita che amava, li rincuora e chiede loro una sola cosa, che Don Luigi gli porti la comunione ogni giorno. Ottavio e Gabriella cominciano a fare viaggi continui a Parigi, nella speranza che il centro oncologico francese, più avanzato di quelli italiani, permetta a Silvio di sconfiggere la malattia.
Anche in questo caso le speranze sono vane, presto le metastasi si diffondono per tutto il corpo, Silvio non riesce più ad alzarsi dal letto (la gamba sinistra si spezza) e perde anche l’udito dall’orecchio sinistro. Tutti sanno, anche Silvio, che presto la malattia lo condurrà alla morte, ma se parenti e dottori sono sconvolti, il bambino rimane lucido e sereno, continua a chiedere la comunione ogni giorno e consola i genitori dicendogli: “Le sofferenze mi avvicinano di più a Dio mi preparano serenità e gioia nel suo Regno, in Cielo” e ancora “Io sarò felice solo quando avrò un posto in Paradiso”.
Il 24 settembre del 1979 Silvio muore nel letto d’ospedale con i genitori al suo capezzale, prima di morire però, chiama a se suo padre per affidargli il suo ultimo desiderio: “Papà, vorrei essere conosciuto in tutto il mondo… Papà sarò molto amato!”.