Non c’è missione nella Chiesa “senza uscita”, ma “la prima porta da cui uscire” non è quella della sacrestia: è quella “del nostro io”. È stato questo uno dei passaggi della terza predica di Quaresima, tenuta stamattina da padre Raniero Cantalamessa al Papa e alla Curia Romana sul tema dello Spirito Santo, “principale agente dell’evangelizzazione”. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Non si comunica in modo credibile se non si è appassionati di ciò che si sta dicendo. Trasposto sul piano missionario: se non si nutre per Gesù un amore sconfinato. Padre Raniero Cantalamessa affronta alla terza predica quaresimale l’aspetto dell’evangelizzazione e del ruolo fondante che in questa dinamica gioca lo Spirito Santo.
Lo Spirito è il messaggio
Ispirandosi alla celebre affermazione del massmediologo, Marshall McLuhan, “il mezzo è il messaggio”, il predicatore pontificio osserva che il “mezzo primordiale e naturale” con cui si trasmette la parola è il “fiato”. Ma questo vocabolo, in ottica di evangelizzazione, assume un senso che supera di molto la meccanica naturale del semplice emettere dei suoni:
“E’ la legge fondamentale di ogni annuncio e di ogni evangelizzazione. Le notizie umane si trasmettono o a viva voce, o via radio, stampa, internet e via dicendo; la notizia divina, in quanto divina, si trasmette via Spirito Santo. Lo Spirito Santo ne è il vero, essenziale mezzo di comunicazione, senza del quale non si percepisce, del messaggio, che il rivestimento umano. Le parole di Dio sono ‘Spirito e vita’ e non si possono perciò trasmettere o accogliere che ‘nello Spirito’”.
Si annuncia bene se si ama molto
Si può annunciare Cristo per tanti motivi – dal proselitismo alla “legittimazione” di una Chiesa di recente fondazione – ma una sola è la cosa che un missionario deve sempre aver presente nel suo ministero, afferma padre Cantalamessa:
“Il Vangelo dell’amore non si può annunciare che per amore (…) Amore, dunque, per gli uomini. Ma anche e soprattutto amore per Gesù. È l’amore di Cristo che ci deve spingere. ‘Mi ami tu? – dice Gesù a Pietro – Pasci le mie pecore’. Bisogna amare Gesù, perché solo chi è innamorato di Gesù lo può proclamare al mondo con intima convinzione. Non si parla con trasporto se non di ciò di cui si è innamorati”.
Sempre “in uscita”
Citando esempi tratti dalla Bibbia e aneddoti riguardanti pensatori e studiosi, il predicatore cappuccino ricorda che il modello dell’evangelizzatore è Abramo e la sua reazione alla richiesta di Dio – “Esci dalla tua terra e va”:
“Non c’è missione e invio senza una previa uscita. Parliamo spesso di una Chiesa ‘in uscita’. Dobbiamo renderci conto che la prima porta da cui uscire, non è quella della Chiesa, della comunità, delle istituzioni, delle sacrestie; è quella del nostro ‘io’. Lo ha spiegato bene, in una occasione, Papa Francesco: ‘Essere in uscita, diceva, significa innanzitutto uscire dal centro per lasciare al centro il posto a Dio’”.
L’acqua della preghiera
Altro aspetto ineludibile del ministero dell’annunciatore del Vangelo, la preghiera. Si può essere missionari febbrili, ma senza un contatto con Dio, spiega:
“Sarebbe anche questo un votarsi al fallimento. Più aumenta il volume dell’attività, più deve aumentare il volume della preghiera. Si obietta: Ma come starsene tranquilli a pregare, come non correre, quando la casa brucia? E’ vero anche questo. Ma immaginate questa scena: una squadra di pompieri ha ricevuto un allarme e si precipita a sirene spiegate sul luogo dell’incendio; ma, arrivata sul posto, si accorge di non avere nei serbatoi neppure una goccia d’acqua. Così siamo noi, quando corriamo a predicare senza pregare”.
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