I mass-media tendono a parlare dei sacerdoti solo quando fanno notizia per errori, cadute, scandali.
“Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce” recita un aforisma attribuito al filosofo cinese Lao Tzu. E’ per questo che quando mi capitano testimonianze delle migliaia di preti che compongono la meravigliosa foresta in crescita che è Chiesa, le condividiamo volentieri.
Ecco la storia eccezionale di un sacerdote che è felice della sua vocazione, che è felice di servire il Signore e di farlo nella chiesa al servizio dei fratelli.
Ogni essere vivente, ad un certo punto della sua esistenza è spinto da un bisogno interiore a domandarsi: “cosa voglio fare della mia vita?”, “dove voglio andare?”, “chi voglio essere?”, ma anche “cosa voglio essere?”. È dimostrato che non fare ciò che si desidera rende, spesso, persone infelici e tristi. Avere, invece, la certezza che quella strada intrapresa e il percorso giusto, ci fa persone felici e realizzate.
Quella che segue è l’esperienza di un giovane che come tanti altri giovani si è trovato ad un certo punto della sua vita a porsi questo stesso interrogativo: “cosa voglio fare della mia vita?”
Facciamo un passo indietro nel tempo. Come avviene in tante coppie di sposi, volendo formare una famiglia, avendo già avuto un figlio, i due genitori decidono di riprovare ancora una volta la gioia della paternità e della maternità. Ed ecco l’annuncio della seconda gravidanza. Scorrono i giorni e vanno in avanti i mesi. Giunti al settimo mese di gestazione, qualcosa comincia a non andare più bene. Ed ecco che avanza l’ipotesi di un parto prematuro e così fu. Con due mesi di anticipo viene alla luce il piccolo e gracile Francesco. Non si prospetta una vita facile né per lui né per i suoi genitori.
Quando si suole chiedere ad una donna incinta: “cosa desideri? Vuoi un maschietto o una femminuccia?” a volte si risponde manifestando il proprio desiderio, il più delle volte, ci si sente dire: “non ha importanza il sesso ma che nasca sano”.
Francesco non era nato sano. Francesco era nato con una paresi alle gambe. Fino a tre anni di vita non ha mai mosso un passo. Sempre tra le braccia della madre, o del padre, della nonna o di qualche zia.
Inizia così un lungo calvario, visite mediche, viaggi della speranza, viaggi da falsi cristi e profeti, spilla denari. Nulla di nuovo, nulla di più. Il problema c’è, il problema rimane. Le scuole, una vita sociale secondo uno stile di vita a lui più consono, ma tra tutte spicca di più la vita spirituale, religiosa, l’avvicinamento alla Chiesa fin da piccolo e alla conoscenza e alla frequenza pian piano della spiritualità del Movimento Apostolico.
Gli anni dell’adolescenza per Francesco sono molto tristi. Lacrime, amarezze, delusioni, speranze miste a preghiere. Ogni giorno la stessa preghiera: “voglio guarire!”, “voglio essere come tutti gli altri” e per questo motivo si alternavano novene a questo piuttosto che ad un altro santo o alla Madonna.
Si decide su consiglio dei medici che alla maggiore età si intervenisse per allungare i tendini, prima ad una gamba e poi all’altra. Un altro lungo e doloroso calvario che porta ad un miglioramento ma non alla guarigione tanto desiderata e sperata.
Ma occorre fare un passo indietro.
Due anni prima dell’intervento, Francesco inizia a sentire nel suo cuore qualcosa di nuovo, di diverso. Sempre la sua preghiera per la guarigione, ma un altro desiderio stava prendendo piede nel suo cuore. Una parola cominciava a risuonare forte, forte per tramite di una donna che spesso la ricordava e che faceva così: “La Messe è molta e gli operai sono pochi…” e poi ancora: “vieni ti farò pescatore di uomini”.
Un giorno Francesco, sulla veranda della sua casa, ha in mano un libricino della prima comunione con il rito della Santa Messa. Alle parole: “prendete questo è il mio corpo”, Francesco avverte la sua vita tremare. Si ferma e subito chiede al Signore: “cosa vuoi da me o Signore. Sia fatta la tua volontà”. Il confronto con il padre spirituale. Il si al sacerdozio.
Ed ecco le prime tentazioni. “non sono degno Signore”…., “ma cosa te ne fai di uno come me?… cosa ti posso dare io con le mie gambe fragili” e mille altri interrogativi.
Un giorno successe che mentre si celebravano le prime comunioni nella sua parrocchia al momento più solenne, il sacerdote gli chiede di tenere il calice per la distribuzione della comunione. Il povero Francesco perde l’equilibrio e cade con il calice in mano senza far cadere una sola goccia del sangue di Gesù. Certo si rialza, qualcuno sdrammatizza, qualcuno ride, ma su Francesco crolla il mondo addosso. Si convince che il Signore non ha bisogno di uno come lui.
Il padre spirituale lo aiuta molto e lui si tranquillizza. Due momenti importanti. Gli interventi e l’ingresso in seminario. Poiché la riabilitazione è più lunga del previsto, l’ingresso in seminario salta di un anno.
Francesco parte per la gioia dei suoi genitori e parte sapendo nel suo cuore che non sarebbe cambiato nulla ma non vuole spegnere la speranza di mamma e papà. Francesco aveva ragione. Gli interventi avevano cambiato ben poco.
Ma il cammino di seminario inizia ed è una vera grazia di Dio. Da quel giorno Francesco ha la pace nel cuore, la gioia, la serenità. Da quel giorno Francesco non ha più fatto una sola preghiera di guarigione. Lui era guarito nel cuore e nella mente. Lui era guarito perché il Signore aveva guardato nel suo cuore e ne all’apparenza o alla bellezza.
Oggi Francesco è felice pieno di vitalità ed energia che lotta e si impegna per annunciare il vangelo e vuole dire questo: il Signore parla in ogni momento e in ogni situazione. Se noi siamo superbi lui ci fa cadere perché diventiamo umili. Anche Francesco pensava in quel giorno di comunioni di poter fare le cose perfette ma così non fu.
L’umiltà è la più grande virtù perché se tu ti affidi al Signore lui ti mette le ali per farti volare dove tu non puoi. Le gambe di Francesco oggi non sono guarite, ma sono forti e salde per annunciare il vangelo e recare gioia ai cuori affranti.
Oggi che ha detto si al Signore, Francesco è il vero Francesco, non perfetto, non santo ma uno che deve al Signore tanto e che è consapevole che tutto quello che di buono c’è in lui viene dall’Onnipotente.
Oggi Don Francesco non è più quel ragazzo che fino all’età di 18 anni non aveva il sorriso sulle labbra. Oggi sorridere sempre a tutto e a tutti. Non importa il passato. Importa l’oggi. Ciò che sei e, soprattutto, ciò che puoi e devi fare. Gesù ti chiama come sei per farti diventare come vuole lui. Io voglio essere come vuole lui. Noi siamo la gloria del Dio vivente, noi siamo i suoi strumenti in mezzo al mondo.
Vorrei fare tanto.
Vorrei mostrare ogni giorno il volto di Gesù.
Vorrei che l’uomo si avvicinasse alla grazia di Dio. Vorrei dire che il pensiero di Dio è diverso da quello dell’uomo, che il cuore di Gesù è diverso dal cuore dell’uomo. Per grazia di Dio sono quello che sono e per il suo amore infinito e grande oggi posso elevare in alto il calice della salvezza e sfamare i cuori della grazia sanante del Signore.
Vorrei dire all’uomo di credere sempre nel domani, di non scoraggiarsi mai, di essere forte.
Vorrei dire all’ammalato di rifugiarsi nel cuore amabile della Madre Santa.
Vorrei regalare a tutti il mio sorriso quello bello che solo il Signore ti sa regalare da un contatto quotidiano con lui. L’avermi voluto sacerdote è il dono più bello e prezioso che il Signore mi poteva concedere ma, allo stesso tempo, è una missione che puoi assolvere solo se possiedi gli occhi di Gesù, la sua bocca e, soprattutto il suo stesso cuore.
Vorrei dire ai giovani che è bello consacrare la propria vita a Gesù e il sacerdote è una vera ricchezza nella povertà di questo mondo.
Vorrei vivere e morire sempre con Gesù nel mio cuore e sulle mie labbra perché questo è il miracolo che Gesù ha fatto alla mia vita e della mia vita.
Vorrei dire credere sempre, arrendersi mai! Vorrei che con tutti i mezzi, chi può parli della bellezza e della grandezza della vita. Non possiamo fare differenze di persone. Non possiamo fare in modo che passi il messaggio che c’è qualcuno che “non serve”. Abbattiamo le barriere e ogni forma di isolamento e discriminazione.
C’è una cosa che non ho mai amato: il pietismo e il sentirmi dire “poverino”.
Don Francesco Cristofaro