La famiglia italiana sicuramente negli ultimi tempi ha subito diversi attacchi non ultimo la crisi economica che ha investito la nostra società ferendola nel profondo. E’ chiaro che i dati sotto riportati non fanno presupporre niente di positivo ma analizzandoli attentamente un barlume di luce emerge.
“La famiglia italiana è cambiata”, titola un’articolata indagine deL’Espresso che, basandosi sui dati Istat, sottolinea come «per quanto la politica provi a ignorare o rimandare le riforme in tema di famiglia e diritti riproduttivi, sui temi etici gli italiani» abbiano «già fatto quel salto che i loro legislatori non sembrano voler accompagnare». Nell’articolo si evidenziano, da un lato, l’aumento del numero delle convivenze e delle separazioni – ma non quello dei divorzi, che «calano per colpa della crisi» – e, dall’altro, la progressiva riduzione dei matrimoni celebrati, specie in chiesa. Ora, i numeri sulle unioni familiari italiane, da qualunque parte li si prenda, sono in effetti sconfortanti.
Si è volutamente scritto “purtroppo” – e passiamo qui ad una considerazione successiva – dal momento che il matrimonio religioso, benché non goda della popolarità di un tempo e sia oggetto di una sistematica irrisione, rimane un bene apprezzabile: oggettivamente apprezzabile. Anzitutto perché più stabile nel tempo: «Mettendo a confronto i matrimoni del 1995 con quelli del 2005 – è scritto in un report Istat – si osserva come la propensione a separarsi nei matrimoni celebrati con il rito religioso sia molto inferiore e molto più stabile nel tempo rispetto a quella nelle nozze civili. Dopo sette anni i matrimoni religiosi sopravviventi sono praticamente gli stessi per le due coorti di matrimonio considerate (rispettivamente 933 e 935 su 1.000). I matrimoni civili sopravviventi scendono a 897 per la coorte del 1995 e a 880 per quella del 2005».
Gli effetti positivi della religione sul matrimonio, già notevoli, non si esauriscono però nella stabilità coniugale: dalla letteratura scientifica apprendiamo come la stessa partecipazione alle funzioni generalmente diminuisca il rischio di tradimenti (Journal of Marriage and Family, 2008), e come pregare per il proprio partner accresca la percezione della sacralità del rapporto di coppia riducendo conseguentemente pensieri e condotte infedeli (Journal of Personality and Social Psychology, 2010). Non solo: la comune e regolare frequenza alle funzioni religiose risulta positivamente correlata perfino a minori tassi di violenza domestica (Journal of Family Issues, 1999); e dire che, ad ascoltare i media – che, parlando astutamente di “violenza del partner”, non distinguono fra coniuge, convivente e separato –, il matrimonio, tanto più se religioso, dovrebbe essere una sorta di camera della tortura.
Del resto, cosa c’è di più controcorrente, oggi, del promettersi reciprocamente quella fedeltà che appare sempre più difficile da mantenere, per di più chiamando a testimone quel Dio che i più, ormai, preferiscono ignorare o del quale si ricordano solo a volte, quando fa comodo? Cosa c’è di più sanamente folle che sfidare la crisi economica con la ripresa della stabilità affettiva? Quale modo migliore per combattere fino in fondo solitudine e tristezza del tornare a scommettere, insieme, sull’Amore per sempre? Nessuno dice che sia semplice, ma ne vale la pena.
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