Dopo il sofferto tragitto lungo il Calvario, Gesù giunse al Golgota e due grossi chiodi, sotto i colpi spietati dei soldati, bucarono i suoi polsi, fissandolo al legno della croce.
In quello stato -appeso per i polsi- lo tirarono su, con una carrucola, per issarlo al legno verticale della croce, già piantato in terra -immaginate quale terribile sofferenza gli fu inferta, in quel momento!
In quella posizione, un uomo muore dopo 6 minuti, poiché i polmoni si riempiono di anidride carbonica, in quanto non riesce più ad espirare. Per questo, subito dopo, un altro chiodo trapassò i piedi di Gesù e su quello doveva far forza per risollevarsi e respirare, respirare ancora, nelle successive tre ore della sua agonia.
Ed era agonizzante, quando disse “Ho sete”. Gesù chiese da bere, poco prima di morire. Ciò che gli offrono non era nemmeno acqua di sorgente che, per lo meno, avrebbe potuto saziare la sua umana arsura.
Era vino (aceto) mescolato con mirra (definito, fiele, tant’era amaro), ossia un sostanza che si riteneva fosse soporifera.
Gesù la rifiutò: doveva bere il calice della morte terrena fino all’ultima goccia! “Vi era lì un vaso pieno d’aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. E dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: “Tutto è compiuto!”. E, chinato il capo, spirò”.
Quella spugna imbevuta di aceto è ritenuta una delle “Arma Christi”, definita come uno degli “strumenti della Passione”.
Insieme alla Vera Croce, alla corona di spine, ai chiodi, alla lancia, la spugna, menzionata nei Vangeli di Matteo, di Marco, di Giovanni, è ritenuta una reliquia della crocifissione.
La spugna, però, al contrario di altre “Arma Christi”, non è stata riconosciuta dalla Chiesa, per il momento.
Il suo dubbio rinvenimento si attribuisce a Sant’Elena (III secolo), madre dell’Imperatore Romano Costantino I, responsabile del ritrovamento di altre reliquie sacre e che aveva individuato il luogo della crocifissione sul Golgota.
Più precisamente sarebbe stata la sua ancella a ritrovare la spugna.
Sarebbe, poi, stata portata a Gerusalemme; in seguito, a Costantinopoli e ancora a Gerusalemme. San Sofronio scrisse di averla vista nella Sala Superiore della Basilica di Costantinopoli: “Lasciatemi rallegrare nello splendido Santuario, il luogo in cui la nobile imperatrice Elena ha trovato il Legno divino; fatemi salire su, con il cuore sopraffatto dalla meraviglia, e vedere la Sala Superiore, la Canna, la Spugna e la Lancia. Possa poi io guardare giù la fresca bellezza della Basilica dove i cori dei monaci intonano canti notturni di adorazione”.
Questo testo risale al 600 e sarebbe avvalorato dal fatto che, nel 629, Gerusalemme pattuì la pace con i Bizantini, a cui cedettero due presunte reliquie: la spugna e la lancia.
Ciò spiegherebbe l’arrivo della spugna a Costantinopoli, mostrata a tutti il 14 Settembre dello stesso anno.
Pare, però, che l’Imperatore di Costantinopoli Baldovino II, la concesse, in seguito e per molto denaro, a Re Luigi IX di Francia. Il Re la pose, insieme ad altre preziose reliquie, nella Sainte-Chapelle di Parigi.
Purtroppo, la rivoluzione francese contribuì a disperdere molti di quegli oggetti ritenuti sacri e ad aumentare i dubbi sulla loro provenienza.
Al momento, si pensa ci siano frammenti della spugna nella Basilica di San Giovanni in Laterano, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, nella Chiesa di Santa Maria in Campitelli, nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, a Roma; come anche nella Chiesa di San Giacomo a Compiègne, nella Chiesa di Chirac (Lozère), nell’Abbazia di Fleury in Francia; nella Cattedrale di Aquisgrana in Germania.
E ci sono altre storie che condurrebbero alla reliquia della spugna, descritta in molti poemi ed opere d’arte. Anche nella Cappella Sistina, l’affresco del Giudizio Universale di Michelangelo, presenta gli “strumenti della Passione”, precisamente la croce, la corona di spine, i dadi (che i soldati usarono per tirare a sorte ed aggiudicarsi la tunica di Cristo), la colonna della flagellazione e la spugna.
Antonella Sanicanti
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