Con l’avvicinarsi delle festività natalizie torna a presentarsi l’annosa questione della manifestazione del proprio credo in una società multirazziale e multi confessionale. Se l’idea di cambiare nome alle festività natalizie per non urtare la sensibilità è una nozione vecchia che parte dall’epoca dei puritani e passa per l’età dei lumi in Francia, ancora oggi permane il dubbio che una simile scelta, più che un modo per non urtare la sensibilità del prossimo, sia più un escamotage di un oligarchia per privare la popolazione di un retaggio culturale che lo identifica e lo rende attaccato alla propria terra donandogli un identità.
Anche quest’anno seguendo l’esempio della Svezia (dove le festività natalizie vengono chiamate festività invernali) in Gran Bretagna i credenti cristiani si trovano nell’incertezza di poter manifestare la propria gioia per il natale. Sull’onda del perbenismo di maniera, dunque, molti datori di lavoro, sebbene vogliosi di decorare il negozio e di elargire doni e cartoline ai dipendenti, eviteranno di mettere simboli che rappresentano la nascita di Nostro Signore e nel “Rispetto” delle minoranze non distribuiranno a nessuno doni o cartoline.
Vi chiederete in che modo festeggiare il Natale nella propria terra dove questa festività rappresenta una larga fetta della vostra tradizione e cultura possa danneggiare i credenti di altre religioni, vengono forse obbligati a partecipare? Non possono semplicemente rispettare la cultura del paese in cui si trovano ed in caso di imbarazzo gentilmente declinare inviti e doni? In questo senso è d’uopo citare le parole di David Isaac, nuovo direttore dell’Equalities and Human Right Commission, il quale ha esortato i datori di lavoro di seguire il buon senso riguardo i festeggiamenti natalizi. I datori di lavoro, aggiunge, non si devono sentire in colpa se hanno voglia di festeggiare il natale, d’altronde il diritto di professare una fede religiosa è uno dei diritti fondamentali dell’uomo e non lede in nessun modo il credo altrui.
Ma se il diritto di professare la propria fede religiosa è sancito dalle leggi ed è da tempo un diritto inalienabile per l’essere umano, queste controversie da cosa nascono? Sono forse i musulmani (o ebrei che siano) a fare manifestazioni contro il natale? Sembrerebbe lecito pensare questo, se così non fosse questo perbenismo non avrebbe senso di esistere, eppure così non è, almeno secondo quanto affermato dalla giornalista britannica di origini e fede musulmana Remona Aly in un editoriale del ‘The Guardian’: “La paranoia dell’offendere le altrui sensibilità religiose, paradossalmente, ha effetti contrari a quelli sperati”.
La giornalista spiega come tutto nasca da una convinzione sbagliata e da notizie false montate ad arte, ad esempio quella che dice che in Svezia c’è il divieto di festeggiare il natale o di apporre decorazioni natalizie. A questi due ingredienti si aggiunge la paura di creare tensioni (paura acuita dai recenti avvenimenti storici) tra le varie comunità, ma questo atteggiamento di diffidenza viene percepito dalle altre comunità religiose e “L’annacquamento delle propria cultura” ottiene il risultato opposto a quello sperato: “A prescindere dalle buone intenzioni di questi datori di lavoro, le loro paure finiscono col danneggiare proprio quelle minoranze che non vorrebbero offendere. Sul serio, per me non è un problema. Se qualcuno pronuncia le parole ‘albero di Natale’, la mia fede non è affatto compromessa” ha continuato la giornalista.
Insomma anche i musulmani (quelli che pensano con la propria testa) sono d’accordo che le limitazioni non hanno senso, anzi acuiscono la distanza tra i due mondi, se solo si avesse il coraggio di affermare il proprio credo senza prevaricare l’altro assisteremmo a cristiani che fanno gli auguri ai musulmani durante le loro festività e viceversa, senza l’assurdo bisogno di nascondersi e vergognarsi.