Commuove l’esposizione dell’immagine della Vergine Maria offesa, che diventa segno della Chiesa intera, in questo momento di prova.
La statua della Madonna del Libano, sfregiata durante la guerra in Iraq, viene venerata in questi giorni nella riviera romagnola.
Un simbolo giunto dal Medio Oriente
Ad ospitarla, fino al 27 agosto, è la parrocchia di Gatteo a Mare, dove il parroco don Mirco Bianchi (foto), per l’occasione, sta tenendo aperta la chiesa giorno e notte.
L’oggetto sacro è rimasto danneggiato durante l’occupazione dell’ISIS (2014-2016): il braccio destro, il pollice sinistro e parte del volto della Madonna sono venuti meno. Anche la corona è stata colpita.
A seguito del restauro, curato dalla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, la statuetta da Batnaya (Iraq del Nord) è stata inviata in Europa, quale simbolo di una Chiesa ferita e offesa ma più che mai viva.
Intervistato dalla Nuova Bussola Quotidiana, don Mirco Bianchi ha raccontato: “L’accoglienza della statua da parte dei parrocchiani è stata piena di trepidazione, gratitudine e nella preghiera”.
Il parroco di Gatteo a Mare ha voluto prendere con sé l’immagine mariana, affinché i fedeli possano “conoscere ancora di più Maria, la grande sofferenza e la grande fede dei Cristiani perseguitati”. Poi don Mirco ha aggiunto: “Davanti a questa statua segnata dalla violenza faccio mio il motto di ACN, “L’amore vince l’odio”.
Sette anni di solidarietà con i cristiani mediorientali
Nella serata di ieri, la Madonna del Libano sfregiata è stata esposta sul sacrato della cattedrale di Rimini, in concomitanza del “rosario in piazza” che, come da consuetudine, si svolge lì ogni 20 del mese. Tutto è nato per iniziativa del Comitato Nazarat per i Cristiani Perseguitati.
Si tratta di un momento di preghiera simbolico, avviato nell’estate 2014, proprio mentre lo Stato Islamico invadeva la Piana di Ninive, facendo razzie di ogni segno religioso che non fosse musulmano sunnita. Era il periodo in cui, i jihadisti imprimevano sulle porte delle case dei cristiani la “N” di Nazareno, imponendo ai cristiani – se volevano aver salva la pelle – di convertirsi o di pagare una tassa in quanto cristiani.
La rete di preghiera si è poi estesa ad altre città italiane (Cesena, Bologna, Prato, Siena, Perugia, Cattolica, Loreto, Forlì, Ravenna, Udine, Cremona, Busca in provincia di Cuneo, Milano) ed estere (Lugano, Damasco, Erbil, Jos, Haiti), con l’accompagnamento nella preghiera da parte di 27 conventi.
Il Comitato Nazarat per i cristiani perseguitati, in questi sette anni, ha anche raccolto fondi per gli aiuti alle comunità mediorientali, per un totale di 100mila euro. [L.M.]
Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana