La pronuncia della Corte Costituzionale sul suicidio assistito ha trovato in disaccordo i medici, i quali ritengono che non spetti loro avviare la procedura.
Anche la Conferenza Episcopale Italiana, si è schierata contro il suicidio assistito spiegando come non si tratti di libertà, ma di cultura della morte.
Con un comunicato pubblicato nella giornata di ieri la Corte Costituzionale ha precisato quali sono i casi in cui il suicidio assistito non è punibile. Tale pratica sarebbe dunque consentita in presenza di “Una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche“. Questa mattina con un altro comunicato è stata corretta proprio questa parte, specificando che la patologia irreversibile permette ai medici di effettuare il suicidio assistito se fonte di sofferenze fisiche “o” psicologiche.
In tal modo si ampliano le possibilità di ricorrere alla morte programmata. Bene precisare che prima di poter procedere è necessario che vi siano altri criteri oltre la condizioni irreversibile: una decisione libera e informata da parte del paziente; sottoposizione a trattamenti di sostegno vitale; cure palliative e sedazione profonda; parere favorevole del comitato etico territoriale e il rispetto delle norme sul consenso informato.
Il mondo dei medici non ha accolto favorevolmente la delibera. A renderlo noto è il presidente dell’Ordine Filippo Anelli, il quale ritiene che una simile responsabilità non spetta al medico: “Ad avviare formalmente la procedura del suicidio assistito, essendone un responsabile, sia un pubblico ufficiale rappresentante dello Stato e non un medico”. Dello stesso avviso anche Antonio Magi, responsabile dei medici di Roma, che dice: “Il Codice parla chiaro e all’articolo 17 stabilisce che anche su richiesta del paziente non dobbiamo effettuare né favorire atti finalizzati a procurare la morte“.
Sconcertata la Cei che per voce del suo presidente, il Vescovo Stefano Russo, ha ribadito l’assoluta opposizione nei confronti della sentenza della Corte Costituzionale. La Conferenza Episcopale lotterà affinché il Parlamento decida di mettere paletti che rendano l’applicazione della morte programmata un caso eccezionale e non la prassi. Inoltre si augura che venga rispettato il diritto del personale sanitario di obiettare.
Il Vescovo Stefano Russo spiega che l’opposizione è legata alla natura stessa della morte programmata. Ciò che viene definito un atto di libertà a suo avviso è una deriva etica: “Qui si creano i presupposti per una cultura della morte“. Successivamente sulla sentenza aggiunge: “E’ anomalo che un pronunciamento così forte e condizionante sul suicidio assistito arrivi prima che ci sia un passaggio parlamentare”.
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Luca Scapatello
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