È una domanda che in molti ci siamo fatti, ovvero quella che riguarda la chiamata a diventare suore.
Come fanno ragazze che vivono nel mondo, a sentire poi quella voce che le chiama ad una vita contemplativa e, anche, in alcuni casi, di clausura?
La storia di vita di alcune di loro ci fa capire come, davvero, le vie del Signore sono infinite.
Difficilmente si ha la possibilità di conoscere la storia personale delle suore e capire, dall’altro lato, capire cosa le ha spinte ad abbracciare la vocazione e la vita religiosa. In un articolo tratto dal quotidiano “Il Giorno”, il racconto di alcune suore Sacramentine di Monza, ci permette di comprendere quell’aspetto particolare che, forse, nessuno al di fuori riesce a percepire.
Un sentimento profondo: è questo che accomuna tutte le suore che abbracciano la vita monastica. Quel vuoto interiore che, immediatamente ed alla presenza di Gesù, viene colmato immediatamente. Ma andiamo nel dettaglio.
Nell’articolo sopra citato, a parlare per prima è proprio la madre superiora del convento, suor Benedetta Dell’Unità. È lei stessa a raccontare il perché della sua vocazione e, quando, ha sentito la chiamata. All’inizio, la sua vita era presso che ordinaria fino a quando quel suo “non sentirsi felice” si fa sentire sempre di più.
Vocazione: quella voce che senti dentro
Un viaggio ad Assisi ed è quei che sente la presenza viva di San Francesco: “[…] Ho sentito la presenza di Francesco e l’esempio di un frate mi ha illuminato: lui faceva tutti i giorni a piedi da Santa Maria degli Angeli alla chiesa di San Francesco solo perché nella sua vita c’era Dio, mentre nella mia non c’era più” – spiega la religiosa nella sua intervista a “Il Giorno”.
In realtà, la sua vita era indirizzata alla carriera medica. La sua tesi di laurea era in corso d’opera, fio a quando ha deciso di lasciare tutto, iniziare a pregare ed andare sempre più spesso a messa. Un soggiorno di 15 giorni in monastero ed il suo sentirsi completa: “[…] Una vita che girava intorno all’Eucaristia: quello che stavo cercando” – conferma suor Benedetta.
Ma non è la sola a spiegare il perché della sua vocazione. Alla madre superiora del convento delle suore Sacramentine, fa eco anche la prima religiosa africana del convento di Monza, suor Maria Bakhita. Il suo essere cresciuta nella fede, grazie all’educazione impartitagli da sua nonna, il suo lavorare al Consolato e, anche il suo frequentare la chiesa del Consolato stesso: “[…] Ho incontrato un padre missionario che mi ha suggerito di andare a trovare le suore nel monastero” – ha spiegato.
Un incontro particolare e speciale
Ed è stato proprio qui che quella voce si è fatta sempre più largo nel suo cuore: “[…] Ho incontrato il sorriso bellissimo della madre superiora. Quella bellezza mi ha conquistato e aperto la strada” – ha raccontato nell’intervista, con gioia.
Insieme a Suor Maria Bakhita, in questo monastero, come scrive ancora l’articolo de “Il Giorno”, c’è anche un’altra religiosa africana, di origini kenyane, suor Maria Scolastica. Come è nata la sua vocazione? In realtà, lei sin da piccola ha sentito quella “vocina” nel suo cuore e, anche da adolescente, il suo desiderio era quello di abbracciare la vita monastica.
Una scritta particolare, letta proprio nel monastero delle suore adoratrici in Kenya (“Sono tutte le cose di cui hai paura che ti fanno male”) le ha fatto scattare dentro quella molla: “[…] Quella scritta mi ha cambiato la vita, mi ha fatto svegliare un giorno e andare in monastero senza più paure, ma solo con una gioia viva” – conclude.