In occasione della presentazione del suo ultimo libro, la scrittrice Susanna Tamaro ha confidato di essere affetta dalla sindrome di Asperger.
Risulta difficile immaginare che una penna brillante come quella di Susanna Tamaro possa nascondere un disturbo della pervasivo dello sviluppo, una forma di autismo conosciuta con il nome di sindrome di Asperger. Eppure, probabilmente, è proprio nella profondità di quelle parole, frutto di riflessioni interiori intense ed estremamente personali che si potrebbe rintracciare il segno di una vita vissuta ad analizzare se stessa e gli altri, in modo tale da comprendere quale fosse la differenza esistente tra loro.
Per anni Susanna Tamaro non ha condiviso la propria sindrome con il suo pubblico e con la stampa, preferendo lasciare questo aspetto di se ad una sfera intima e privata, in occasione della presentazione del suo ultimo libro ‘Il tuo sguardo illumina il mondo‘ (dedicato all’amico appena scomparso, il poeta Pierluigi Cappello) ha deciso di confidare a tutti la sua patologia: “Soffro della sindrome di Asperger, è questa la mia invisibile sedia a rotelle, la prigione in cui vivo da quando ho memoria di me stessa. La mia testa non è molto diversa da una vecchia motocicletta. In certi momenti la manopola del gas va al massimo, in altri le candele sono sporche e il motore si ingolfa”, ha spiegato la scrittrice al ‘Corriere della Sera‘.
Nel prosieguo dell’intervista la scrittrice ha spiegato che per tutta la vita ha dovuto combattere con le proprie difficoltà relazionali, mantenere in equilibrio due persone antitetiche che facevano parte del suo io: una ordinata ed equilibrata, l’altra caotica e nervosa. Le maggiori difficoltà le ha avute ovviamente durante l’infanzia e l’adolescenza, periodi in cui non capiva chi fosse ed in cui nessuno riusciva a diagnosticare la sua malattia: “Non dormivo, non parlavo, non guardavo mai negli occhi. Le cose che facevano gioire gli altri bambini mi lasciavano indifferente. Avvenimenti di cui gli altri bambini neppure si accorgevano mi provocavano strazi interiori. I miei capricci erano capricci metafisici, privi di oggetto. Mi buttavo a peso morto per la strada e mia madre era costretta a trascinarmi per un braccio. Diventavo rossa, viola, le vene della fronte gonfie, pronte a esplodere. Gridavo con quanto fiato avevo in corpo, mi divincolavo come un’indemoniata in preda a una rabbia fuori controllo. A queste crisi seguivano lunghi periodi di quiete atarassica”.
Ripensando a quei momenti, alle difficoltà di rapporto che ha avuto con la madre e con se stessa, Susanna spiega di aver trovato un equilibrio nell’ordine e nella ripetitività. La quiete raggiunta a fatica ha un equilibrio fragile che chiunque potrebbe interrompere, per questo nei momenti difficili si affida alla quiete dei mondi perfetti, quelli privi di qualsiasi fraintendimento: “Praticare arti marziali, osservare le api, suonare il pianoforte, raccogliere quasi ossessivamente vecchie biciclette, passare ore a curarle per il senso di estatica meraviglia che provo davanti alla loro meccanica perfetta. Vivere tra la mia stanza e il giardino, tra lo studio e il frutteto. Vivere circondata da animali e da poche persone che mi accettano come sono”.
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Luca Scapatello
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