Il 2017 è stato l’anno in cui Russia e Stati Uniti sono intervenuti massicciamente in Siria (con invio di armamenti e supporto aereo) per combattere nominalmente e fattivamente l’Isis, ma creando al tempo stesso due fazioni all’interno del Paese mediorientale, alimentando in questo modo una guerra civile che dura da troppo tempo. Il 2017 è stato anche l’anno in cui le mire espansionistiche di Kim Jong un hanno fatto temere lo scoppio di una nuova guerra su cui grava la minaccia del bombardamento nucleare.
Per tutta la seconda metà dell’anno il leader coreano ed il presidente USA, Donald Trump, hanno giocato una partita a scacchi fatta di dichiarazioni al vetriolo e mosse belliche che hanno spinto al limite lo stato di pace attuale. Sulla questione si è espressa anche la Santa Sede, prima firmando il trattato sul disarmo nucleare e dopo convocando un incontro sulla minaccia nucleare a cui hanno partecipato anche alcuni sopravvissuti alla strage di Hiroshima. L’impegno della Chiesa, e non potrebbe essere altrimenti, è quello di creare una coscienza sociale sul rischio nucleare e richiedere simbolicamente il disarmo di tutto il mondo.
Per quanto auspicabile, questa ipotesi è piuttosto remota poiché nessuna grande potenza accetterà di smantellare il proprio arsenale bellico se non in contemporanea con tutti gli altri paesi. Ma se la prospettiva di un disarmo è utopica, al contempo le probabilità che gli Stati Uniti o la Corea del Nord decidano di iniziare una guerra nucleare non sono poi cosi alte. Quello tra le due nazioni è un gioco di potere e prestigio, se da un lato la Corea ambisce ad un maggior rispetto nello scacchiere internazionale, dall’altro gli Stati Uniti puntano a mantenere il ruolo di leadership che li ha contraddistinti negli anni del dopo guerra e sopratutto dopo la caduta del muro di Berlino.