Pubblichiamo la seconda puntata dell’intervista a Teresa Forcades i Vila, monaca benedettina che si dichiara «femminista».
Sostieni che dire «La mia libertà finisce quando inizia la tua» induce competizione più che solidarietà. Ma questa è la definizione con la quale siamo cresciuti…
«Libertà è qualcosa che provo quando io tratto bene me e te. Strettamente parlando per me libertà è amore. È quello che ha detto Sant’Agostino, credo che abbia ragione. Tutti noi, sia che crediamo in Dio sia che non crediamo, siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio e Dio è amore, è libero amore. Noi siamo loving beings (esseri che amano e che sono amati), e quando uno ama è libero. Quando invece ci comportiamo con violenza, con risentimento, senza fiducia, siamo pieni di emozioni negative, siamo bloccati nell’amore, chiusi all’amore, non siamo liberi».
Però nella tradizione della Chiesa l’amore è insegnato come puro sacrificio…
L’amore è anche sacrificio, e le donne si sentono a loro agio perché per loro l’amore è mettere gli altri davanti a se stesse. Qualcosa che si può solo fare in modo vero e autentico. Se in fondo al cuore tu non ti senti di farlo non puoi farlo. La vera sfida è comportarsi in conformità al proprio sentire, a quello che si è veramente in profondità, e accettare di dire: “Vorrei amarti così ma non ci riesco, non ora”. La vera sfida è essere autentici. Se non ci riesco, devo avere il coraggio di dirmelo e partire da questa consapevolezza per cercare di crescere. È importante rispettare la mia verità perché altrimenti fallisco, e se fallisco mi porto dietro solo risentimento. L’amore non è un dovere, Dio non vuole il sacrificio. Noi mischiamo amore e dovere ma Isaia dice: “Dio non vuole sacrificio. Amore è gioia, è una festa , è buono solo se libero” ».
Come l’amore di Maria?
«Maria è una donna veramente libera. È stata capace di guardare, di relazionarsi con Dio, da una posizione di parità. Quando Dio le chiede se vuole avere un figlio da Lui, se vogliono un figlio insieme, la prima reazione di Maria è di stupore. Come possiamo immaginare questa interazione tra Dio e un essere umano, una donna? Dio le dice. “Io non sono Dio perché detto delle regole, perché ti dico cosa devi e cosa è giusto fare, perché sono l’adulto; ma semplicemente perché sono la vita stessa. Tu e io possiamo interagire solo se lo desideriamo, se lo desideri”. Dio ci ha dato la dignità e la scelta».
Due le figure femminili di riferimento nel Vangelo: Maria Maddalena e Maria di Nazareth…
«Io ti ho risposto su Maria di Nazareth attraverso la mia esperienza. Ma se tu mi chiedi come nella tradizione Maria Maddalena e Maria di Nazareth possano essere interpretate è un’altra storia. Forse tu non lo sai, io sono cresciuta in una famiglia atea. Ho letto per la prima volta il Vangelo a 15 anni: ne rimasi impressionata. La mia seconda lettura è stata Gesù Cristo il liberatore di Leonardo Boff. Nessun racconto di Dio quando ero una bambina. Andavo in Chiesa solo per battesimi e comunioni. Dalle mie letture posso dirti che la tradizione vuole Maria come una donna sottomessa ma nel vangelo Maria è descritta come una giovane donna che sa cosa vuole, che prende decisioni che la riguardano, che dice sì a Dio. Leonardo Boff, nel suo libro, dipinge Maria come una donna capace di essere la compagna di Dio. Maria vuole essere incinta di Dio. È straordinario il suo desiderio. Sappiamo che una donna può rimanere incinta di un uomo che non ama, ma spiritualmente non si può. Non si può stuprare una donna spiritualmente; fisicamente si, ma non spiritualmente. Dio non s’impone a lei con la forza, Dio chiede a Maria e Maria dice sì e rimane incinta perché si amano. Per me è molto bello perché è quello che Dio vuole con ognuno di noi: rendere spiritualmente incinta o incinto ognuno di noi per portare Dio nel mondo. Io credo che il Dio (lui o lei) cristiano non si vuole imporre, è un Dio che esiste nello spazio e nel tempo se noi gli diamo la vita come Maria».
Ma allora l’uomo, il maschio, può dare la vita?
«Sì, certo, perché noi siamo queer e diamo la vita. Tutti gli immaginari femminili possono applicarsi anche agli uomini, e viceversa, perché, come diciamo nella Chiesa, Maria è un modello per tutti, non solo per le donne. Maria è la perfezione dell’umanità, e Gesù anche: entrambi per gli uomini e per le donne. Gesù è fonte di ispirazione per tutti e così Maria. Gesù è Dio e Maria non è Dio ma è ciò che l’umanità può essere quando è piena di Dio e dunque è come Dio. Non c’è una gerarchia. Dio dice: “Io non vi chiamo miei servi ma miei amici”. Io credo che questo sia una liberazione: non abbiamo un Dio che sta sopra e che opprime. Dio ha tutto il potere, ma non lo usa per opprimere, bensì per incoraggiare. Ci salva più e più volte dalla nostra paura di meritarci la morte».
Sei favorevole al matrimonio Gay?
«Si, perché le identità sessuali non vanno considerate come scatole chiuse che Dio vuole complementari le une con le altre e che devono restare per sempre così, fissate in ruoli definiti e separati. Vivo nel mondo e vedo persone dello stesso sesso che si amano e mi chiedono: “Perché dovrebbe essere sbagliato?”. Sembrano felici, si amano davvero. Perché dunque non dovrebbero essere benedetti? Perché non dentro alla Chiesa? Perché non dobbiamo esultare di fronte all’amore qualunque forma assuma? Certo, se c’è rabbia e risentimento, se si agisce con violenza nella coppia non va bene, ma questo può succedere in qualsiasi coppia, che sia etero o omosessuale. Il punto centrale è come due persone stanno insieme. Certo, da coppie etero possono nascere bambini e da coppie omosessuali no; ma non credo che questo sia l’aspetto fondamentale del matrimonio. Io amo molto i bambini (ne volevo nove) e credo siano importantissimi; ma il punto centrale della vita di coppia per me è un altro. Il segreto del matrimonio è essere due che provano a essere uno e poi tornano ad essere due. È come Dio nella Trinità: siamo uno ma siamo anche separati. Questo si può esperire anche in una vita comunitaria, in modi molto differenti. Nella coppia si raggiunge la massima intimità tra due persone; non è facile, ma è una forma di cammino a due. Si cresce in questo cammino e si mostra agli altri come l’amore possa trasformare la realtà e quali miriadi di relazioni siano possibili tra esseri umani. Tutto questo è molto affascinante».
Come definisci l’autodeterminazione? Credi sia un diritto?
«Sì, credo sia un diritto; ma andrei cauta nell’usare la lingua dei diritti. Attualmente sto studiando la filosofa Simone Weil, che ha scritto molto su questo tema, in modo per me convincente. Lei sostiene che sarebbe oggi necessario sostituire la parola “diritto” con la parola “dovere”. Non parliamo del dovere di essere sottomessi a un’autorità; ma di doveri verso coloro che hanno dei bisogni, che sono in sofferenza. Questo credo sia un sano sostentamento per la società. Noi riteniamo che i diritti siano la base di una società libera, bene. Ma poi la filosofa Hannah Arendt chiede: “Chi ha diritto ad avere diritti?”. Ci sono persone che non hanno diritto di avere diritti. Immagina una ragazza di 12 anni costretta a prostituirsi: dove sono i suoi diritti? Dovrebbe averne. Invece molte persone non hanno diritti; dunque noi gli raccontiamo bugie. Noi diciamo che la dignità delle persone viene dal fatto che abbiamo dei diritti. Quella ragazza non li ha, nella pratica, nella sua vita reale. Dunque di cosa parliamo? Il problema è che i diritti non sono reali. Nella vita reale questa ragazza ha dei bisogni, non dei diritti. E allora iniziamo a parlare dei bisogni e, forse, riusciremo a cambiare qualcosa. Certo, il tema dei diritti è un tema forte, mentre se si parla di bisogni sembra di tornare indietro; ma bisogna guardare in faccia la realtà. Forse la domanda filosofica che dovremmo porci è questa: “Perché ci sembra negativo avere dei bisogni?”. Io non voglio sminuire il discorso della dignità ma voglio veramente prendere sul serio i problemi di questa giovane ragazza e per farlo devo parlare una lingua che per lei abbia un senso. Per lei ha senso capire di cosa ha bisogno, mentre se le parlo di diritti si sente senza dignità e non può capire cosa vuole».
Però tu hai detto che sei per l’autodeterminazione…
«Per me autodeterminazione è la libertà. Essere una persona, essere fatta a immagine e somiglianza di Dio, vuole dire che nessuno può dirmi cosa devo fare, devo muovermi dentro e fuori per trovare la mia verità. Un oggetto lo muovi da un posto a un altro, un soggetto deve muoversi da solo; puoi dargli suggerimenti, consigli, ma poi decide da solo. Cosa penso dell’aborto? Non sono a favore dell’aborto, ma non credo sia giusto che uno Stato abbia il potere di mettere una donna in prigione perché decide (entro un certo periodo) di non portare a termine la gravidanza. Nei primi cinque mesi di gravidanza, quando il bambino è ancora totalmente dipendente dalla madre per vedere la luce e vive grazie alla totale intimità con la madre, è giusto che sia la madre a prendere una decisione. Noi dobbiamo aiutarla a prendere questa decisione, perché in gioco ci sono due vite: quella della madre e quella del feto. Nessuno può forzare una madre in una direzione. Lei deve potere esercitare la sua libertà di scelta»
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