Per oltre 52 ore un padre di famiglia libanese è rimasto sepolto vivo sotto le macerie provocate dal terribile sisma che ha devastato la Siria e la Turchia. Ad accompagnarlo la sua unica speranza in quei momenti terribili: la Madonna.
A condividere la sua sorte anche un amico che però morirà qualche ora dopo. Lasciandolo da solo a affrontare una prova durissima, circondato dall’odore della morte. Una prova affrontata rivolgendosi a Maria, mettendosi a pregare il rosario sotto le rovine quando tutto sembrava perduto.
Più di due giorni sotto le macerie: 52 ore. Ci sono momenti in cui una vita è appesa a un filo che sembra potersi spezzare da un momento all’altro per l’insondabile decreto di una Parca capricciosa. Esperienze-limite in cui sperimentiamo in presa diretta quanto sia precaria la nostra esistenza. Ma dove scopriamo anche che precario deriva da precari: pregare, supplicare.
Due amici sepolti sotto una montagna di macerie
Ne sa qualcosa Bassel Habkouk, 47 anni, cattolico libanese e padre di due figli piccoli. Si trovava in Turchia a inizio febbraio, proprio quando il devastante sisma di 7.8 di magnitudo ha colpito il Paese anatolico e la Siria.
Quella tragica notte Bassel è in Turchia da turista, in compagnia dell’amico amico Elias Al-Haddad. I due amici si vedono sorprendere dal disastro ad Antakya – ovvero l’antica Antiochia, seconda sola a Gerusalemme come culla del cristianesimo delle origini – all’interno dell’hotel Ozcan. Sono circa le 4:15 quando le pareti della struttura cominciano a tremare. Bassel e Elias si svegliano di soprassalto e capiscono subito di doversene andare immediatamente. Corrono giù per le scale, ma non fanno in tempo a percorrere una decina di metri che viene letteralmente giù tutto.
In un attimo si trovano così seppelliti sotto una montagna di detriti provocata dal tremendo terremoto che nella notte tra il 5 e il 6 febbraio spazzerà via 52.000 vite umane.
«La Vergine Maria non mi ha abbandonato»
«Quando le macerie sono crollate sopra di me, sono caduto a terra gridando dal profondo del mio cuore: O Maria!», racconta Bassel a Catholic News Agency. «Ho continuato a invocare la Vergine Maria per i 40 secondi successivi fino a quando il terremoto non si è fermato».
«Ho sentito come se stessi cadendo nel vuoto. Quando ho aperto gli occhi era tutto nero. Ero a terra con la faccia che premeva sul suolo. Ho capito di essere sopravvissuto ma avevo l’impressione di essere stato sepolto vivo», spiega Habkouk.
Intrappolato sotto le macerie, Habkouk riesce ancora a sentire la voce del suo amico. Ma potrà fare ben poco per lui: «Elias Al-Haddad mi ha parlato dopo il disastro e ha chiesto il mio aiuto, ma non potevo muovermi per aiutarlo», spiega Habkouk. Per lui sarà l’inizio di una lunga attesa sotto le macerie. Senza contare che, purtroppo, il suo amico Elias finisce per soccombere. «Dopo circa sei ore, non ho più sentito la sua voce», racconta il padre di famiglia libanese. Che così rimane solo ad affrontare un calvario interminabile. «Sono rimasto sotto le macerie per 52 ore, incastrato in un blocco lungo circa 2 metri e largo 40 centimetri».
A sorreggerlo però c’è la preghiera. C’è Maria. «Ho recitato il Rosario sotto le macerie» racconta Habkouk. «Dio mi ha protetto e la Vergine Maria non mi ha lasciato». Inspiegabilmente, non sente i morsi della fame o della sete: «Esposto all’aria fredda senza sapere da dove venisse, non avevo né fame né sete, sebbene avessi ancora del cibo con me».
Salvato dopo 52 ore
Durante la seconda serata passata sotto le macerie, alcuni soccorritori prendono finalmente contatto con lui. «Ho trovato un tubo di plastica lungo circa un metro e l’ho usato per colpire i detriti intorno a me, segnalando ai soccorritori dove mi trovavo», ricorda Habkouk. Le sue pene però ancora non sono terminate. Prima i soccorritori vanno a strappare dalle macerie una persona che grida aiuto in preda a dolori lancinanti. Ci vorranno 5 ore di lavoro per tirarla fuori.
Nel frattempo si sono fatte le 2 del mattino. A quel punto il padre libanese immagina di essere il prossimo, ma sfortunatamente per lui i soccorritori si allontanano. Per altre cinque interminabili ore, fino alle 7, si ritrova nuovamente da solo.
Un tempo che gli appare infinito, soprattutto perché teme che nessuno verrà mai a salvarlo, non essendo lui cittadino turco. Provvidenzialmente però, nella mattinata di mercoledì 8 febbraio, i soccorritori turchi giungono anche in suo soccorso. Sono passate più di 52 ore quando Habkouk, finalmente, emerge dalle macerie.
Quando esce si trova davanti uno spettacolo spaventoso: la devastazione di Antiochia, cuore del cristianesimo turco, ridotta a una immensa necropoli. «Il terremoto ha spazzato via tutto», dice Bassel. «Ora conosco l’odore della morte».
Cresciuto in una famiglia devota a Maria e a San Charbel
Habkouk racconta che non è la prima volta che lui e la sua famiglia si sono rivolti alla Beata Vergine Maria. «Fin da bambino sono stato cresciuto secondo le tradizioni del mio villaggio, Maghdouché». «Credo nel Signore e ho ricercato l’intercessione di sua madre, la Vergine Maria, nel corso della mia vita». Prima di lasciare il villaggio, la gente di Maghdouché è abituata a fare il segno della croce rivolgendosi a Maria per dirle: «In te poniamo la nostra speranza, o Madre di Dio!». Dopo essere partiti, fiduciosi nel Signore e nell’intercessione di Maria, ringraziano sempre la Vergine per essersi presa cura di loro, specialmente durante i viaggi difficili.
Habkouk sottolinea anche la speciale devozione di sua madre per Maria e i santi. Tutte le mattine, spiega, si reca al santuario di Nostra Signora di Mantara a chiedere l’intercessione di Maria per lei e per proteggere i suoi figli. «Quando si è verificato il devastante terremoto», spiega Habkouk, sua madre «ha promesso alla Vergine che se suo figlio fosse ritornato sano e salvo dalla Turchia sarebbe scesa a piedi nudi dal villaggio fino al santuario di Nostra Signora di Mantara e sarebbe entrata a carponi insieme e me nella grotta. E ha mantenuto la sua promessa dopo che sono ritornato a casa».
«Ho pensato che se Bassel fosse stato vivo mi avrebbe già rassicurato», ricorda la mamma del 47enne al giornale L’Orient-Le Jour. Mentre racconta quei momenti angosciosi fissa la statua di San Charbel, il Padre Pio libanese, nel giardino di casa. «Ma sapevo che Dio non lo avrebbe abbandonato», aggiunge la donna.
Al rientro a casa, Habkouk è stato accolto dalle grida di gioia della gente di Maghdouché, accorsa in massa per salutare il suo ritorno, tra il suono delle campane e gli applausi commossi.