La disabilità è una realtà nascosta di cui non parla quasi nessuno. Quasi un tabù. Ma la diversità è qualcosa che arricchisce sempre tutti.
Eppure, cambiare prospettiva è possibile, se si inizia a vederla non come una disgrazia ma come un elemento di diversità.
Lo sanno bene i tanti operatori della Comunità Papa Giovanni XXIII attivi nelle case-famiglia a servizio dei disabili. In occasione della 40° Giornata Internazionale dei diritti delle persone con disabilità, l’associazione fondata da don Oreste Benzi ha promosso l’evento online Io Valgo. Capaci di vivere e volare: una raccolta di videotestimonianze di persone disabili che, in un modo o nell’altro, sono riuscite ad emanciparsi e a integrarsi nella società. Le storie sono state accompagnate da un dibattito moderato dal giornalista Andrea Sarubbi, alla presenza di esperti del settore.
Hanno preso parte al dibattito Enrico Miatto, docente di pedagogia speciale allo IUSVE di Venezia; Chiara Griffini, psicologa e psicoterapeuta; Cristina Brugiafreddo, responsabile del servizio inserimento lavorativo al Consorzio Monviso Solidale; Filippo Borghesi, coordinatore del servizio educativo La Luna presso la cooperativa sociale “La Fraternità”.
Come ricordato da Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, se è cambiato l’approccio alla disabilità, parte del merito è indubbiamente di don Benzi. Il servo di Dio ebbe infatti varie intuizioni, a partire dalla “grande scelta delle case-famiglia”, diventate in tutto il mondo un modello educativo e di emancipazione sociale. Come lui stesso affermava, “le membra che sembrano le più deboli sono anche le più necessarie”.
Se in precedenza per i disabili gravi non c’era altra vita se non all’interno degli istituti, don Benzi iniziò a portarli in gita sulle Dolomiti. L’approccio della Comunità Papa Giovanni XXIII va molto al di là del puro assistenzialismo. Al contrario, ha aiutato centinaia di persone disabili a trovare un lavoro, a mettere su famiglia, a svolgere loro stessi volontariato. Se da un lato è molto diffusa l’idea che la presenza di bambini con handicap non aiuta il prodotto interno lordo, “noi siamo andati a testimoniare che questi bambini non sono un peso ma una risorsa”, ha affermato Ramonda.
Le testimonianze di persone con disabilità diffuse durante l’evento hanno coinvolto bambini, giovani e adulti. Storie anche molto diverse ma tutte accomunate dalla certezza che una “pedagogia della condivisione” è in grado di abbattere ogni tipo di barriera architettonica e mentale. Davide, 34enne, cuneese, lavora in un negozio di articoli sportivi e qualche tempo fa ha trovato amici disposti a fargli realizzare il suo sogno: lanciarsi con il parapendio.
Diversa è la storia di Maurizio, 57 anni, che fu abbandonato dalla famiglia in un istituto. È seguita per lui una lunga esperienza in casa-famiglia, poi ha fatto amicizia con Gian Paolo, sposato con quattro figli di cui uno adottato. Le visite a casa di Gian Paolo sono diventate sempre più frequenti, accompagnate dall’immancabile caffè in compagnia. Fino al giorno in cui Maurizio ha portato in omaggio una moka di grosse dimensioni, utile per tutti e sette. Abile nel riparare le ruote delle biciclette, è un grande appassionato di fotografia e lo scorso Natale, con sua grande gioia, ha ricevuto in dono una splendida camera digitale. Da qualche anno la famiglia di Gian Paolo è diventata la sua famiglia e con loro Maurizio divide lo stesso tetto.
Il reportage ha passato poi in rassegna le vicende di due bambine. Nhima, 14 anni, africana, è nata priva di entrambe le gambe e si muove grazie a tutori e stampelle. Accolta in una casa-famiglia, Nhima è diventata ben presto beniamina dei suoi compagni di classe. “Anche se i bambini hanno paura di me, gli faccio passare la paura – ha raccontato –. Li faccio giocare a 1-2-3 stella, racconto le favole…”. E a scuola tutti ormai le vogliono bene, anche chi, all’inizio, la guardava strano per il suo handicap. Ja Hiu, 4 anni, origini cinesi, paraplegica, frequenta la scuola dell’infanzia assieme alla sorellina. Andare all’asilo, per lei, è stato importantissimo e anche i compagnetti le si sono affezionati. “I piccoli non danno tutta questa importanza ai limiti e alla disabilità”, ha raccontato la mamma adottiva.
C’è chi, come Massimo, invalido al 100%, 17 anni fa ha avuto la fortuna di fare tirocinio presso un’azienda di Cuneo, rispondendo alle telefonate dei clienti e facendo fotocopie. “Tanti colleghi se ne sono andati – racconta un suo collega – ma Massimo è sempre al suo posto. Oggi è un punto di riferimento per tutto l’ufficio”.
Irid, 30 anni, di origine albanese, in Italia dall’età di due anni, è non vedente. Nonostante il suo handicap, si è laureato in cooperazione internazionale, sviluppo e diritti umani all’Università di Bologna. Poi, durante un master presso lo ateneo, ha conosciuto Educaid, ong riminese che svolge progetti di educazione inclusiva per persone con disabilità. “Ho pensato fosse un’occasione unica svolgere il tirocinio con loro”, ha raccontato. Concluso il tirocinio, Irid ha preso parte a un progetto di Educaid in Palestina. Prestato il servizio civile universale sempre per Educaid, Irid si trova attualmente in Belgio, dove svolge il servizio di volontariato europeo per un’altra associazione, Views International.
La carrellata di testimonianze si chiude con due artisti. Annalisa, 49 anni, affetta da sclerosi multipla: con l’unica mano che le funziona mette in mostra la sua creatività, dipingendo e decorando piccoli oggetti. “Alcune cose che ho fatto sono state comprate da un negozio e questo mi dà molta soddisfazione”, confida Annalisa. Anche Francesco, 27enne con sindrome di Down, è bravo nel dipingere. La sua opera preferita, spiega, trae ispirazione dal Piccolo Principe, “che ha addomesticato una volpe e diventano amici e questo mi ricorda un forte legame di amicizia che io ho con il mio amico Ivano”. Diplomato al liceo artistico, Francesco ha poi realizzato il suo sogno, iscrivendosi all’Accademia delle Belle Arti di Catania.
Luca Marcolivio
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