La famosa pop star, lanciando il suo ultimo disco, ha colto la palla al balzo per fare un’apologia degli interessi LGBT, incurante del vero bene dei bambini.
Dimenticando però, come al solito, il diritto dei bambini di avere una mamma e un papà.
A fine febbraio di quest’anno Tiziano Ferro ha annunciato di essere diventato padre di due bimbi di 9 e 4 mesi, Andres e Margherita. Senza peraltro specificare se i due bimbi siano stati adottati o avuti con l’utero in affitto.
Il cantante infatti vive da tempo in California con Victor Allen, l’uomo che ha “sposato” in America. Da almeno un paio d’anni aveva confessato il desiderio di avere figli parlando di un «bisogno molto forte» di paternità, vista l’età del partner (55 anni all’epoca).
Un po’ come se avere un figlio volesse dire togliersi uno sfizio. Ma tant’è.
Tiziano Ferro è tornato in questi giorni a parlare di diritti e di adozioni gay. Al tema della paternità ha dedicato tre dei tredici brani del suo ultimo album (“Il mondo è nostro”). «Neanche ti sognavo perché ti negavano a chi è come me», canta nel singolo La prima festa del papà, dedicato proprio ai due neonati.
Uno spot a favore delle adozioni gay
Interpellato dal Corriere della sera in occasione del lancio del nuovo album, l’artista si è lanciato nel consueto spottone a favore delle adozioni omosessuali, scagliandosi contro la solita Italietta «indietro a prescindere dagli schieramenti» nel campo dei diritti cosiddetti «civili». Un tormentone caro a tante star dello spettacolo quando hanno voluto spendere la loro immagine per appoggiare delle cause sbagliate (l’ultima in ordine di tempo Anne Hathaway che ha cercato di spacciare l’aborto come un’opera di misericordia).
«Conosco tanti ragazzi che risparmiano una vita per andare in Spagna, coppie che attendono anni per un’adozione, single cui non è concesso», si è lamentato Ferro. Infine la solita chiusura con frase a effetto per chiedere al governo di darsi da fare sul tema: «Non c’è tempo per fare del male. Concedere più diritti a qualcuno non ne toglie ad altri».
Ogni diritto un capriccio?
Tra le tante cose che si potrebbero dire sulle parole del cantante ci sembrano particolarmente centrate quelle scritte su Facebook da un sacerdote coraggioso, non nuovo a prese di posizione scomode. Parlo di don Antonello Iapicca, il missionario che ha bollato come «menzogna infida e perversa» la pretesa di vedersi riconoscere un dritto che tale non è. «Il diritto di cui parla Ferro non è un diritto, è un capriccio che toglie il diritto fondamentale di un bambino ad avere un padre e una madre», ricorda don Iapicca.
Eh sì, perché per quanto possa suonare strano a star ricche e famose, «un figlio non è merce da comprare, non è un giocattolo vivente», insiste don Atonello. Quanto all’amore tanto invocato in queste circostanze, siamo davanti alla solita «parola di plastica» appiccicata ovunque per legittimare quello che rimane «egoismo senza alcuna giustificazione».
La violenza delle élites
Così come «non saranno i soldi delle élite che foraggiano la loro asfissiante e pervasiva propaganda su ogni media, social, film, fiction, canzoni e perfino cartelloni pubblicitari a rendere diritto una vile e aberrante violenza ai danni di bambini, cioè persone, innocenti e indifese».
«Caro Tiziano, non mentire», conclude don Iapicca. Parole forti, toni vibranti. Come sempre hanno fatto i profeti nella storia quando si è trattato di chiamare per nome le menzogne che si fasciavano coi paroloni altisonanti delle ideologia alla moda. Oggi la moda fa leva sui «diritti» separati dai «doveri».
Simone Weil, l’amica del filosofo-contadino Gustave Thibon, una volta ha detto che l’uomo, quando parla alla prima persona singolare («io») non dovrebbe avere altro che doveri verso gli altri (oltre che verso di sé), i soli ai quali dovrebbe riconoscere dei diritti.
In altre parole, un uomo dovrebbe pensare prima di tutto ai propri doveri verso il prossimo – soprattutto verso il più debole e indifeso degli uomini – che non ai propri diritti verso di lui, che facilmente si trasformano in arroganti pretese. La prima parola dovrebbe essere: «Ho doveri» e non «ho diritti».
Ecco, se si cominciasse a ragionare in questi termini, pensando prima di tutto ai doveri di un adulto nei confronti di bimbi inermi (e non ai suoi presunti diritti su di loro), molto probabilmente l’ottica sarebbe ben diversa: una vera rivoluzione copernicana (o meglio una conversione a 360 gradi).
Sventurato chi ostacola la santità, diceva Santa Teresa di Lisieux
Nella Storia di un’anima, santa Teresa di Lisieux racconta di come avesse avuto finalmente la consolazione di contemplare le « anime di bimbi». Per poi osservare, con toni ben poco adatti a una certa immaginetta un poco stucchevole che talvolta si cerca di ritagliarle addosso, che «vedendo da vicino quelle anime innocenti, ho capito quale sventura sia di non formarle bene fin dal loro risveglio, allorché somigliano a una cera molle sulla quale si può imprimere la virtù, ma anche il male… ho capito ciò che Gesù ha detto nel Vangelo: «Che sarebbe meglio essere buttati in mare piuttosto che scandalizzare uno solo di quei bimbi». Ah! quante anime arriverebbero alla santità se fossero ben dirette».
Ostacolare la santità, impedire a un’anima creata di conformarsi all’immagine impressa in lei dal Creatore. Un peccato che appariva di una gravità assoluta agli occhi di una santa come Teresa. Non a caso la parola «scandalo» indica proprio l’ostacolo che si incontra sul cammino.
«Il santo non è un diverso tipo di uomo, ma una nuova specie umana», ha scritto Nicolás Gómez Dávila. Impedire la santità: intralciare la sola vera evoluzione che conti, mettere a repentaglio l’unica realizzazione davvero degna dell’uomo. Ecco un male sul quale forse non si mediterà mai abbastanza.