Torri gemelle: Martina ho visto l’aereo venirci addosso

Per i secoli a venire, la data dell’11 Settembre ricorderà il crollo delle Torri Gemelle, per un atto di assoluta violenza, contro la civiltà e la gente comune, che quella mattina, a New York, si era svegliata e preparata per affrontare un giorno di lavoro come tanti.

38 italiani morirono e ogni Paese ebbe le sue vittime, a dimostrazione che la Grande Mela coinvolge etnie diverse e che nessuno era esente o estraneo alla tragedia e al dolore.

Qualcuno è sopravvissuto a quel giorno, ma mai lo scorderà.

Ecco i nomi di alcuni dei nostri connazionali che riuscirono a tornare alle loro case: Gina Lippis, Lucio Caputo, Ruggero De Rossi e Francesco Ambruoso.

Era tutti nelle Twin Towers, quella mattina, e vivono tutt’oggi gli istanti (che poi divennero ore, giorni, anni) di tremenda angoscia, che li sorprese disarmatiti e attoniti.

Cominciò tutto con un boato -raccontarono- quello provocato dall’aereo che si avvicinava alla prima Torre, poi le vibrazioni, seguite all’impatto.

Gina Lippis dice: “Ho guardato fuori e veniva giù tanta di quella roba che non immaginate.”.

Lei era a soli pochi metri dalle finestre coinvolte e riuscì a farsi strada tra il fuoco e la polvere, fino ad arrivare alla salvezza.  

Quel giorno anche Martina Gasperotti si trovava li, arrivata a New York solo pochi giorni prima, per seguire un corso di inglese, che avrebbe dovuto iniziare proprio quella mattina: “Avevo dormito poco ed ero arrivata davanti il grattacielo con largo anticipo.”.

Parlava al telefono con la mamma, quando cadde la linea e tutto si trasformò in un incubo: “A un certo punto, ho sentito un gran botto, la terra ha tremato. Ma non mi sono preoccupata più di tanto, dal primo giorno i rumori di New York mi erano sembrati molto strani e avevo finito per non farci più caso. Non mi sono accorta subito di cosa fosse successo, perché avevo preso un’uscita dalla quale non si vedeva nulla: il primo aereo, rimasto nella struttura, era invisibile per chi non guardava dalla giusta prospettiva. Ho alzato la testa anche io e mi ricordo di aver notato l’insolito cielo azzurro e migliaia di fogli bianchi che volavano ovunque.”.

“Ho visto il secondo aereo trapassare la torre sud: prima la sua ombra sugli altri grattacieli e poi lo schianto, talmente forte che ancora oggi sono sensibile ai forti rumori. (…) La mia mente non lascerà mai andare certi ricordi, come le persone che si lasciavano cadere nel vuoto. Il rumore sordo dei corpi che cadevano a terra mi ha sconvolto. Più del sangue. C’era sangue ovunque.”.

Per salvarsi e allontanarsi da quel luogo, Martina dovette oltrepassare proprio quei corpi, arrivati a terra dal cielo!

Invece Sara Faillaci, una giornalista, in quei momenti si trovava sulla Centodecima strada. Raccontò in un suo articolo, solo anni dopo, ciò che aveva provato quel giorno: “Per anni, a ogni anniversario, mi sono rifiutata di rivedere quelle immagini. Penso che guardarle in televisione, a Milano, seduta sul divano di casa dopo una giornata ordinaria di lavoro, ridurrebbe quel giorno, quell’evento così straordinario, a mero spettacolo, a finzione.”. “E forse questo è anche uno dei motivi per cui non avevo mai scritto di quella giornata. Un altro è che la gente è abituata a ricevere su questo argomento materiale forte: fotografie, filmati e racconti di gente scampata alla catastrofe tra fumo o fiamme, di corpi umani spezzati nel volo mortale dalle finestre di grattacieli. E io invece, quando penso all’11 settembre 2001, vedo solo volti: quelli delle migliaia di missing (dispersi) che tappezzavano i muri di New York nei giorni successivi agli attacchi, e quelli di coloro che sono rimasti a guardarli senza più Dio né certezze.”.

Ed è proprio così per tutti noi, anche dopo tanti anni. Un evento di tale portata ci fa sentire smarriti e abbandonati, privi di qualunque speranza nell’umanità, privi della libertà di vivere serenamente nella normalità, andando a lavoro, tornando a casa.

Ma Dio -lo sappiamo- era anche lui li, come è ovunque a presentare la sua croce insanguinata, segno di vita e mai di morte.

 

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