Nato a Napoli nel 1946, Tullio De Piscopo è il più famoso batterista italiano. Nell’arco della sua lunga carriera ha suonato con i più noti artisti italiani e stranieri, da Lucio Battisti a Pino Daniele; da Astor Piazzolla a Chet Baker. Nel novembre 2015 ha pubblicato50. Musica senza padrone-1965/2015, un triplo Cd per festeggiare il mezzo secolo di lavoro. Amico intimo di Pino Daniele, l’avrebbe portato quest’anno a Medjugorje se la morte non avesse colto, improvvisa, il musicista napoletano. Nel libro edito da Ares La mia vita è cambiata a Medjugorje l’autore Gerolamo Fazzini riporta l’intervista con il maestro presso la Scuola NAM-Nuova Audio Music media di Milano, dove insegna. La riportiamo integralmente:
La sua simpatia è contagiosa. Lei porta un braccialetto a forma di Rosario e qualche anno fa è andato a Medjugorje. Perché?
Già da parecchio tempo, nel corso degli anni Novanta, un mio collaboratore mi aveva parlato di Medjugorje. Sono sempre stato credente, sebbene ‘a modo mio’. Da bambino, ricordo che sulla credenza c’erano le foto di mia nonna, della zia e di padre Pio da Pietrelcina, soprannominato ‘zio Pio’. Sono sempre cresciuto con questa familiarità con padre Pio. A mamma chiedevo la spiegazione delle stimmate che mi incuriosivano: ‘Ma cos’ha nelle mani?’. E lei: ‘S’è fatto male’. Inoltre, fin da piccolo in famiglia ho sempre respirato una devozione speciale per la Madonna del Santo Rosario di Pompei. Del resto, ‘mamma’ e una parola che non muore mai: la prima che pronunciamo e l’ultima che diremo, prima di morire. Pompei e un luogo dell’anima: quando per la prima volta ho portato la mia futura moglie, che è di Sassuolo, a Napoli, la prima cosa che ha fatto mia madre è stato accompagnarci a Pompei, dalla Madonna. A me piace molto Pompei, è un santuario bellissimo.
Dalla fede di bambino al viaggio a Medjugorje: lungo quale percorso?
Nel 2012 successe un fatto che ha segnato la mia vita. Avevo un appuntamento di lavoro per un concerto a Cordenons in Friuli. Al termine, un musicista, Rodolfo Vitale, mi guardò negli occhi e mi disse: ‘Sei una persona straordinaria’. Mi diede un’immaginetta della Madonna e io la baciai. In un’altra occasione, era il settembre 2012, un’altra persona mi diede una medaglietta della Madonna. Poi, un giorno andai a trovare un mio ex collaboratore nel reparto oncologico all’ospedale di Monza. L’urologo volle visitarmi in segno di riconoscenza perchè gli avevo fatto un autografo, ma mi fece una diagnosi sbagliata. Successivamente, mentre ero in tournée, mi sentii male per davvero.
Come mai?
Avevo la prostata ingrossata, tremavo. Stavo girando la Campania, cosi andai a Salerno da un amico medico. Mi visita: lo vedo che cambia espressione e si fa serio: mi prescrive una serie di analisi, mentre tenta di sdrammatizzare. Ma in me cominciano a sorgere dubbi. Ritornato da Napoli a Milano per un concerto, mi sottopongo a nuovi esami e dalla Tac emerge che ho un tumore maligno, uno dei più brutti.
Facile immaginare lo shock…
Il medico che mi doveva operare mi pronosticò sei mesi di vita. Fu in quei momenti che pensai fortemente alla Madonna che aveva architettato questo disegno per farmi prendere coscienza del valore del tempo, dell’esistenza. Quando siamo in tournée i mesi volano, gli anni passano velocemente e non te ne rendi nemmeno conto.
Cosa accadde, una volta tornato in salute?
Dopo essere stato operato con successo (per me e stato un miracolo!), mi ripromisi di ringraziare la Madonna. Era novembre 2012. Il giorno del Lunedi dell’Angelo del 2013, andai a Medjugorje con mia moglie e altri amici. In seguito ci sono ritornato per altri due anni di seguito e ci tornerò ancora.
Che impressione ha avuto a Medjugorje?
Mi e piaciuto subito quel paese, così spartano. Lì, anche se non preghi, ricevi come una spinta: sono gli altri che pregano per te. Si, perché la cosa più importante a Medjugorje è la preghiera. Si va lì essenzialmente per quello. Anche io, più di una volta, mi sono staccato dal gruppo (e pure da mia moglie) perché volevo stare da solo, per pregare, talvolta ai piedi della Croce blu. Dicevo che sarei andato a comprare le sigarette…, in realtà noleggiavo un taxi e mi portavo sotto la Croce blu a pregare. Come dicevo, a Medjugorje sei sempre in preghiera: anche se non fai il segno di croce e non dici ‘Ave Maria’, sei come ‘avvolto’ dalla preghiera di tanti. L’altra cosa incredibile che si vive a Medjugorje è l’adorazione eucaristica: mi piace molto l’adorazione in lingua croata, ha una sonorità particolare.
Lei ha avuto modo di incontrare comunità nate dalla spiritualità di Medjugorje?
Si, abbiamo incontrato sia la comunità di suor Cornelia, delle Suore missionarie della Famiglia Ferita, sia quella di suor Elvira: entrambe persone stupende, che si danno da fare per gli altri. Le loro sono esperienze da conoscere. Le testimonianze di alcuni giovani ospiti in queste comunità mi hanno colpito profondamente. Ma, insisto, al di là di questo, a Medjugorje si va fondamentalmente per pregare: c’è un cielo diverso là.
A Medjugorje si va anche per confessarsi. Posso chiederle se ha fatto esperienza in tal senso?
Continuamente chiedo perdono a Dio e alla Madonna per gli errori che ho commesso, anche se a volte inconsapevolmente. Soprattutto da giovane, ho scavalcato qualcuno pur di arrivare al successo e ne chiedo perdono. Quando mi trovo davanti all’Ostia consacrata oggi mi sento pulito. Ma la verità e che non siamo mai puliti fino in fondo.
Tornando da Medjugorje, qualcosa è cambiato in lei?
Quelli che mi stanno accanto mi trovano più sereno nel viso. Ma io aggiungo: lo sono anche nel cuore e nella testa. Del resto, l’esperienza di arrivare fin sulle soglie della morte – l’intervento chirurgico a cui venni sottoposto durò la bellezza di 14 ore – ti segna profondamente. Dopo una cosa del genere, si vede la vita con altri colori e sfumature, che altri non vedono. Dopo questo ho capito che, come la prevenzione medica permette di garantire una salute migliore, la prevenzione spirituale, ovvero la preghiera quotidiana – anche una semplice Ave Maria – permette di farci comprendere che cosa valga davvero nella vita e di restarci attaccati. Bastano due minuti per volgere un pensiero e lo sguardo a Dio, che ci costa? Eppure noi diciamo che non abbiamo tempo… In realtà, potremmo spendere tutti i soldi del mondo, ma non riusciremo ad aggiungere un’ora di tempo alla nostra vita.
Lo dice chiaramente Gesù nel Vangelo . E lei ha scritto anche un libro su questo tema…
Si, e il titolo è proprio Tempo. Sono arrivato a scriverlo perché avevo tenuto nascosto tutto dentro di me, non volevo essere compatito. ma sentivo di aver dentro un groppo di cui dovevo liberarmi. Scrivere questo libro per me e stata una sorta di liberazione, un passo che dovevo fare, per i fans e i musicisti. Recuperare il tempo e ora una priorità per me: il tempo che non ho dedicato alle mie figlie, ma che voglio recuperare con i miei nipotini. Dobbiamo dedicare più tempo a noi stessi. Io mi ritaglio quotidianamente mezz’ora al mattino per me stesso: preghiera e rilassamento totale sul pavimento.
Nella sua carriera e stato difficile testimoniare la fede?
Si. Anche perché negli anni Sessanta e Settanta non sono stato certo di esempio: ero un gran bestemmiatore. Bestemmiare il nome di Dio invano e la cosa più brutta, ma purtroppo chi va con lo zoppo impara a zoppicare e io mi trovavo immerso in un ambiente in cui la bestemmia era ‘facile’. Da tempo, pero, non bestemmio più.
Ha consigliato a qualcuno di andare a Medjugorje?
Si, a molti. Tra questi anche al mio carissimo amico Pino Daniele. Tra noi c’era un rapporto profondo, inspiegabile, quasi di sangue. E la gente l’avvertiva. Ricordo l’ultimo concerto insieme, il 22 dicembre 2014, al Forum di Assago (Milano). Suonavamo solo io e lui, davanti a settemila persone: un’atmosfera magica. Quando la mia salute peggiorò, Pino venne all’ospedale a trovarmi perché non credeva alla bugia che avevo raccontato a suo figlio Alessandro, parlandogli di un intervento di poco conto, ‘una fesseria’. Sapeva che in precedenza io avevo suonato anche con la febbre a 40, invece stavolta, per quella ‘fesseria’ gli avevo dato buca a un concerto. Ebbene: e grazie alla sua musica e alla sua presenza che ho trovato la forza di reagire e tornare in palcoscenico, a Napoli, con la ferita fresca. Lui venne a trovarmi il 23 novembre; il 27 dicembre eravamo già sul palco, per sei giorni di fila.
E poi?
Gli dissi che sarei andato a Medjugorje. Mentre mi trovavo là, la prima volta, a Pasqua, mi telefonò: ‘Dove sei?’. ‘A Medjugorje’. ‘Ah, ci sei andato davvero?’. ‘Si. Devi venirci anche tu, Pino’, gli dissi. E sono certo che sarebbe venuto anche lui, se la morte non l’avesse portato via prima”.
Fonte: zenit.org