Quel che fino a ieri era una barbarie compiuta prevalentemente da coppie eterosessuali oggi è divenuta di dominio pubblico per consentire l’adozione da parte di coppie omo. Si chiama “utero in affitto” o più dolcemente“maternità surrogata”: la coppia affitta una povera donna indiana per nove mesi, usando il suo corpo come incubatore naturale per far crescere un figlio ordinato (anche per e-mail) e a loro destinato per contratto. A parto avvenuto si ritira la merce sborsando da 8mila a 60mila dollari (e più) a seconda del potere di ricatto esercitabile sulla “mamma a termine”.
«Ma non vi vergognate, papesse bianche e nere, intellettuali e intellettualesse femministe e progressiste, rodati garanti del diritto di avere diritti, sinistre dolci e piccanti, del traffico indecente di donne povere, sfruttate e usate nei loro corpi per figliare conto terzi?», ha domandato Marcello Veneziani. «La chiamano maternità surrogata, ma è la tratta delle schiave e insieme la fabbrica dei toy-children; però non suscita i cori indignati. Non è pure quella violenza alle donne, sfruttamento come la prostituzione, mercificazione dei corpi e dei loro organi? Non è un abuso sui minori strappare un bambino a sua madre e privarlo di un genitore? Da noi la pratica non è ancora autorizzata ma lo sarà presto, si sente già il tam tam della tribù degli abortigeni; intanto vanno a fare shopping all’estero».
Ecco il video che vi aprirà gli occhi su una realtà sommersa e degradante soprattutto per chi la subisce , cioè le donne che per pochi soldi sono usate come una incubatrici naturali togliendo a loro dignità e rispetto.