La chiamano dolce morte, ma è l’inganno diabolico con cui si rinuncia ad accompagnare chi soffre. Marta ne è l’ennesima vittima, sempre una di troppo.
I fatti sono stati resi noti solo di recente. Tutto della vicenda è raccapricciante. Scopriamo anche noi i dettagli e capiremo che trama insidiosa è stata ordita per acuire il dolore di una famiglia già duramente provata.
Una mamma che vive l’esperienza più terribile che possa esistere: la morte di un figlio. Cade nella depressione. Invece di rialzarla la uccidono. E il marito?
Il fatto è accaduto ad ottobre scorso ma la notizia è stata diffusa solo adesso. Non si conosce il suo nome vero, Marta è il nome di fantasia che le è stato attribuito. Cosa sappiamo di lei? Cominciamo da quel terribile 12 ottobre appena passato. Marta si è recata in Svizzera, non vuole più vivere, vuole essere aiutata a morire. Ed ecco nella struttura si applica, forti della Legge, la procedura del caso, il desiderio di Marta è esaudito, è uccisa dolcemente. Ma cosa le è successo?
A gennaio del 2023 Marta, ha 55 anni, lavora in campo scientifico, ha vissuto l’esperienza più innaturale che esista, suo figlio adolescente è morto afflitto da una malattia degenerativa. La mamma sgomenta non si è mai più ripresa. È caduta in un forte stato depressivo per cui l’unica via d’uscita ragionevole le è parsa la morte, ma non aveva il coraggio di procurarsela. Così inizia il viaggio verso la Svizzera. Nessun giudizio per la povera Marta, vittima del suo dolore. Ma tanta delusione per quel sistema che dovrebbe proteggere i deboli e invece li elimina; perché prendersi cura di loro è troppo dispendioso.
Una malattia subdola
La depressione è una malattia terribile, chiaramente dopo un’esperienza così assurda, è la logica conseguenza. Non si può pretendere che chiunque abbia quella prontezza a rialzarsi ed andare avanti. Il dolore di una madre di fronte alla morte di un figlio non si può spiegare, non si può capire se non si vive. Ecco perché è indispensabile lasciarsi aiutare da uno specialista, senza paura, senza remore, nessuna persona che cade nella depressione ne ha colpa, ha diritto di farsi aiutare, e ci sono tanti bravi professionisti pronti a farlo.
Marta si è fatta aiutare, avrebbe dovuto concedere solo a chi la stava aiutando un po’ più di tempo. Perché la nostra mente quando vive esperienze così forti ha bisogno ti tempo per guarire. La fretta non va bene. Il processo per metabolizzare, per essere autentico e duraturo deve essere costruito con pazienza passo dopo passo. È un lavoro nel quale il terapeuta ti porta per mano, ti aiuta, ti rafforza, e quando il processo è compiuto ti lascia e ritorni a camminare da solo. Ma la fretta non va bene.
La triste vicenda dei familiari
Spezza il cuore anche quello che è accaduto ai familiari di Marta. Se lei è una mamma che ha perso il figlio, c’è anche un padre che vive lo stesso dolore, dei nonni, zii, e altri familiari che in questa procedura non sono mai stati coinvolti né chiamati in causa. Il tutto si è svolto tra Marta e l’equipe. Pochi giorni dopo la morte della donna la struttura ha inviato una fredda e-mail al marito in cui comunicava il decesso della donna. Guarda caso la mail è finita nella spam. L’uomo non l’ha vista se non dopo aver ricevuto uno strano sms sul cellulare da un numero sconosciuto. Era l’avvocato che ha curato gli aspetti legali.
Nel messaggio sono riportate le parole di Marta in cui chiede: “Per favore, vai a casa, stacca le utenze, regala i miei vestiti in beneficenza e affida a mio marito l’urna con le ceneri di nostro figlio”. L’uomo terrificato si mette in movimento e apprende che in realtà sua moglie non si è andata a curare, è morta. Passa solo qualche giorno, bussano alla sua porta, apre, è un uomo che gli consegna le ceneri della moglie. Si può immaginare il cuore di quest’uomo?
Marta ha ceduto al dolore. Non ha trovato lungo la strada chi potesse aiutarla a credere che in fondo al tunnel anche se non lo vedi c’è sempre un po’ di luce, passo dopo passo lo comincerai a vedere. La debolezza di Marta e la sbrigativa cultura della morte, hanno arrecato un nuovo dolore a quest’uomo che soffriva come padre ora soffre anche come marito, e così tutti gli altri familiari coinvolti.
Per compiere un’azione cattiva, secondo la morale tradizionale, occorrono: materia grave, piena avvertenza e deliberato consenso. Nel caso di Marta c’è la materia grave, ma non ci può stare la piena avvertenza né il deliberato consenso. La sua mente era troppo ottenebrata per rispondere di ciò che chiedeva, e la sua libertà era schiava del dolore. Quindi moralmente lei non è responsabile perché malata. Possibile che i medici non lo sapessero? Quando la smetteremo di svendere la vita? Piangiamo i morti per le guerre ma votiamo sì per l’eutanasia, ma vogliamo essere coerenti? Ma davvero crediamo che di tutto il male che facciamo non dovremo rispondere in questa vita e nell’altra? Quante Marta dovremo ancora uccidere con la falsa pietà prima vergognarci e smetterla?