Lo spirito che ha animato la visita pastorale di Francesco in Bahrein, trae spunto da tre parole chiave.
Conclusasi domenica, ha rappresentato un evento eccezionale nelle relazioni della Chiesa con il mondo islamico.
Nel ringraziare le autorità civili e religiose che hanno reso possibile il suo recente viaggio, il Santo Padre ha spiegato che il suo desiderio di visitare un “Paese a grandissima maggioranza islamica” è stato motivato dal “dialogo”, dall’“incontro” e dal “cammino”. Nel corso dell’udienza generale odierna, il Pontefice si è soffermato su ognuno dei singoli punti.
Coraggio e libertà: così dovremmo approcciarci tutti a Dio
Nel prendere la parola, il Papa ha innanzitutto commentato l’“ingresso in campo” a piazza San Pietro di due bambini che, incuranti delle transenne e della sicurezza, gli erano andati incontro per salutarlo.
“Loro non hanno chiesto permesso – ha affermato –. Non hanno detto: ‘ho paura’. Sono venuti direttamente. Ci danno esempio di come dovremmo comportarci con Dio. Così dovremmo sempre fare col Signore, con libertà”. In seguito, i due fanciulli sono venuti a sedersi ai piedi del Santo Padre, al centro della piazza, ascoltando da vicinissimo il resto del discorso.
Con la mano sul cuore
Soffermandosi sul “dialogo”, come mezzo per “scoprire la ricchezza di chi appartiene ad altre genti, ad altre tradizioni, ad altri credo”, Francesco ha usato la metafora dell’“arcipelago” (tale è il Bahrein), per cui nessuno può “vivere isolandosi, ma avvicinandosi” agli altri.
Il dialogo è anche “l’ossigeno della pace” per le comunità mondiali e nazionali ma anche per la “pace domestica”, ovvero per la “famiglia”. Pertanto, in Bahrein, il Pontefice – sulla scia del dialogo tra i popoli auspicato dal documento conciliare Gaudium et spes – ha esortato i “responsabili religiosi e civili” a “guardare al di fuori dei propri confini, delle proprie comunità, per prendersi cura dell’insieme”.
“Solo così – ha aggiunto – si possono affrontare certi temi universali, come la dimenticanza di Dio, la tragedia della fame, la custodia del creato, la pace”.
Ricordando i conflitti in atto nel mondo, a partire da quello nella “martoriata Ucraina” fino alla Siria e al Myanmar, il Papa ha sottolineato come, in Bahrein e in tutto l’oriente, le persone usino salutarsi portando “la mano al cuore”.
“L’ho fatto anch’io per fare spazio dentro di me a chi incontravo. Perché, senza accoglienza, il dialogo resta vuoto, apparente, rimane questione di idee e non di realtà”, ha commentato. “Da giovani, da ragazzi, da bambini – ha proseguito Francesco – occorre conoscersi, così che l’incontro fraterno prevenga le divisioni ideologiche”.
Chi non ha una sua identità non può dialogare con nessuno
Passando alla terza parola chiave, Bergoglio ha quindi accolto il suo recente viaggio – il primo di un Papa in Bahrein – come “un nuovo passo nel cammino tra credenti cristiani e musulmani”. Se si vuole dialogare, ha puntualizzato, è necessario avere una “identità propria”.
Con questo spirito si sono tenuti l’incontro e la preghiera ecumenica per la pace tra il Santo Padre e il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo, nella Cattedrale, dedicata a Nostra Signora d’Arabia, “la cui struttura evoca una tenda, quella in cui, secondo la Bibbia, Dio incontrava Mosè nel deserto, lungo il cammino”.
Un accenno è stato fatto dal Pontefice ai “lavoratori immigrati che, lontani da casa, ritrovano le loro radici nel Popolo di Dio e la loro famiglia nella grande famiglia della Chiesa. E vanno avanti con gioia, nella certezza che la speranza di Dio non delude”. Costoro, ha ricordato, rappresentano la maggior parte dei cristiani residenti in Bahrein.
“Incontrandoci e pregando insieme, ci siamo sentiti un cuore solo e un’anima sola”, ha detto il Papa che, verso la conclusione ha esortato tutti a “dilatare i cuori”, dedicandosi alla “conoscenza degli altri”, mezzo virtuoso per procedere al “cammino della fraternità e della pace”.