Papa Francesco torna tuonare contro il moralismo ipocrita e superficiale e menziona un celebre profeta che mostra la strada per parlare in modo veramente autentico con Dio.
Chi è Giobbe? È un “testimone della fede” che non accetta una “caricatura di Dio” ma “grida la sua protesta di fronte al male, finché Dio risponda e riveli il suo volto”. Con queste parole, papa Francesco ha introdotto il protagonista della catechesi tenuta durante l’udienza generale odierna in piazza San Pietro.
Dio non è un persecutore
Alla fine, Dio risponde a Giobbe “in modo sorprendente”, mostrando a Giobbe “la sua gloria ma senza schiacciarlo, anzi, con sovrana tenerezza”. Leggere il libro di Giobbe significa mettersi “alla sua scuola, per vincere la tentazione del moralismo davanti all’esasperazione e all’avvilimento per il dolore di aver perso tutto”.
A conclusione della vicenda, Dio loda Giobbe “perché ha compreso il mistero della tenerezza di Dio nascosta dietro il suo silenzio”. Inoltre, “Dio rimprovera gli amici di Giobbe che presumevano di sapere tutto, di Dio e del dolore, e, venuti per consolare Giobbe, avevano finito per giudicarlo con i loro schemi precostituiti”.
Il libro di Giobbe è quindi anche un ammonimento contro il “pietismo ipocrita” e contro “quella religiosità moralistica e di precetti che ci dà una certa presunzione e ci porta al fariseismo e all’ipocrisia”, ha detto a braccio il Santo Padre.
Il Signore dice che “Giobbe ha parlato bene, perché ha rifiutato di accettare che Dio sia un “Persecutore”. E in premio Dio restituisce a Giobbe il doppio di tutti i suoi beni, dopo avergli chiesto di pregare per quei suoi cattivi amici”.
I tanti “Giobbe” dei nostri tempi
La storia di Giobbe rappresenta “in modo drammatico ed esemplare quello che nella vita accade realmente”. Molto spesso “su una persona, su una famiglia o su un popolo si abbattono prove troppo pesanti, sproporzionate rispetto alla piccolezza e fragilità umana”, ha osservato il Pontefice.
Ci sono persone “travolte da una somma di mali che appare veramente eccessiva e ingiusta”: chiunque di noi ne ha conosciute, “siamo stati impressionati dal loro grido, ma spesso siamo anche rimasti ammirati di fronte alla fermezza della loro fede e del loro amore”.
Tra i “Giobbe” dei nostri tempi, ha proseguito il Papa, vi sono “genitori di bambini con gravi disabilità”, c’è “chi vive un’infermità permanente o al familiare che sta accanto” e vi sono anche “situazioni spesso aggravate dalla scarsità di risorse economiche”.
“In certe congiunture della storia, questi cumuli di pesi sembrano darsi come un appuntamento collettivo”, come è avvenuto in questi anni con la “pandemia di Covid-19” e, più di recente, “con la guerra in Ucraina”.
Il vero tema è: “Possiamo giustificare questi “eccessi” come una superiore razionalità della natura e della storia? Possiamo benedirli religiosamente come giustificata risposta alle colpe delle vittime, che se li sono meritati? Non possiamo”, ha affermato Francesco.
Se da un lato, Dio concede “una sorta di diritto della vittima alla protesta, nei confronti del mistero del male”, il “silenzio” che Dio stesso esprime non significa che Dio “si sottrarrà al confronto”.
A Giobbe è concesso lo “sfogo della sua protesta” e noi dovremmo “imparare da Dio questo rispetto e questa tenerezza”. È proprio così che il profeta completa la sua esperienza mistica, dicendo a Dio: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto» (42,5).
Affrontare l’“eccesso del male”
Riallacciandosi al motivo conduttore dell’attuale ciclo di catechesi, il Santo Padre ha detto: “Questa testimonianza è particolarmente credibile se la vecchiaia se ne fa carico, nella sua progressiva fragilità e perdita. I vecchi ne hanno viste tante! E hanno visto anche l’inconsistenza delle promesse degli uomini”.
Ci sono “uomini di legge, uomini di scienza”, persino “uomini di religione che confondono il persecutore con la vittima, imputando a questa la responsabilità piena del proprio dolore”.
Al tempo stesso, “i vecchi che trovano la strada di questa testimonianza, che converte il risentimento per la perdita nella tenacia per l’attesa della promessa di Dio, sono un presidio insostituibile per la comunità nell’affrontare l’eccesso del male”, ha quindi concluso il Pontefice.