Siamo tutti deboli e pieni di tentazioni, perciò dobbiamo invocare spesso lo Spirito Santo affinché operi. E il Santo Padre ci indica come farlo e quali benefici spirituali ci apporta.
Il ciclo di catechesi di papa Francesco sulla Lettera ai Galati, si conclude con l’affermazione che San Paolo fu capace di “dare voce” al “silenzio” di Gesù Cristo.
Paolo è stato “un vero teologo, che ha contemplato il mistero di Cristo e l’ha trasmesso con la sua intelligenza creativa”. Egli fu anche “capace di esercitare la sua missione pastorale nei confronti di una comunità smarrita e confusa”.
Lo ha fatto “con metodi differenti”, usando di volta in volta “l’ironia, il rigore, la mansuetudine”. Paolo di Tarso è un’anima che non ha mai “nascosto le debolezze del suo carattere”; il suo cuore è stato “realmente scavato” dall’“incontro con Cristo”, cui ha risposto spendendo l’intera sua vita “al servizio del Vangelo”.
San Paolo non ha mai concepito “un cristianesimo dai tratti irenici, privo di mordente e di energia”. Al contrario, ha “difeso la libertà portata da Cristo con una passione che fino ad oggi commuove, soprattutto se pensiamo alle sofferenze e alla solitudine che ha dovuto subire”.
La sua Lettera ai Galati manifesta la sua chiamata a questo popolo “a quella libertà, che li affrancava da ogni forma di schiavitù, perché li rendeva eredi della promessa antica e, in Cristo, figli di Dio”.
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Libertà che, come minimo, non equivale affatto a “libertinaggio, né conduce a forme di presuntuosa autosufficienza. Al contrario – ha sottolineato il Santo Padre – Paolo ha posto la libertà all’ombra dell’amore e ha stabilito il suo coerente esercizio nel servizio della carità”.
Questa visione viene posta “nell’orizzonte della vita secondo lo Spirito Santo, che porta a compimento la Legge donata da Dio a Israele e impedisce di ricadere sotto la schiavitù del peccato”.
La tentazione è sempre quella di “tornare indietro per sentirsi più sicuri” ma “i cristiani non sono gente che torna indietro”, né che, limitandosi a rispettare la legge, trascurano “la vita nuova dello Spirito” che “può essere vissuta solo nella libertà cristiana”.
La conclusione di questo ciclo di catechesi, ha affermato il Pontefice, spinge ad un “duplice atteggiamento”. Da un lato, siamo spinti dalla nostra libertà a “camminare secondo lo Spirito”. Dall’altro, “siamo consapevoli dei nostri limiti”, in particolare di quanto sia difficile essere “docili allo Spirito”.
Percepire la propria debolezza, ci fa sentire “scoraggiati” e “a volte emarginati rispetto allo stile di vita secondo la mentalità mondana”. Sant’Agostino descrisse bene questo conflitto interiore, meditando sul Vangelo della tempesta placata (Mc 4,35-41): «La fede di Cristo nel tuo cuore è come Cristo nella barca. Ascolti insulti, ti affatichi, sei sconvolto, e Cristo dorme» (Discorsi 163/B 6).
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Come gli apostoli, “dobbiamo risvegliare Cristo nel nostro cuore e solo allora potremo contemplare le cose con il suo sguardo, perché Lui vede oltre la tempesta”.
San Paolo ci ricorda che “non possiamo permetterci alcuna stanchezza nel fare il bene”. Per sopperire alla nostra debolezza, il miglior modo è imparare a “invocare più spesso lo Spirito Santo”: si tratta, ha detto il Papa, di una “preghiera spontanea” che “nasce dal suo cuore”.
Nei “momenti di difficoltà”, si chiede allo Spirito: “vieni!”. Si può farlo, ha ricordato Francesco, in particolare attraverso l’invocazione che si recita a Pentecoste: «Vieni, Santo Spirito, / manda a noi dal cielo / un raggio della tua luce!…». Recitare questa preghiera, ha concluso Bergoglio, “ci aiuterà a camminare nello Spirito, nella libertà e nella gioia”.
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