Il ciclo di catechesi di papa Francesco sulla preghiera prosegue, addentrandosi lungo i suoi sentieri più impervi e insidiosi.
Oggetto dell’Udienza Generale odierna è stato Il combattimento della preghiera. Per la prima volta l’udienza si è tenuta nel Cortile di San Damaso del Palazzo Apostolico Vaticano.
Il Santo Padre ha espresso subito la sua gioia di tornare a tenere udienze ‘in presenza’. “Non è bello parlare davanti al niente – ha detto –. È bello trovare voi, ognuno con la sua storia, gente che viene da tutto il mondo. Vedere ognuno di voi mi fa piacere, ci aiuta a pregare l’uno per l’altro”.
Attingendo alle Scritture e alle vite dei santi, il Pontefice ha ricordato che pregare non è mai una “passeggiata”, né alcuno dei “grandi oranti” della storia ha mai avuto una preghiera “comoda”. Si può pregare “come pappagalli” ma “questa non è preghiera”.
Pregare “certamente dona una grande pace”, tuttavia “non è una cosa facile” e richiede “un combattimento interiore, a volte duro”. Spesso, nell’accostarsi all’orazione, chiunque può essere tentato dal pensare ad “attività, che in quel momento appaiono più importanti e più urgenti”. “Capita anche a me”, ha commentato il Papa. Salvo poi scoprire che “quelle cose non erano affatto essenziali” e che si è rimandata la preghiera inutilmente.
Tutti i grandi “uomini e donne di Dio” hanno sperimentato non solo la “gioia della preghiera” ma anche il “fastidio” e la “fatica” che ne possono derivare. C’è chi ha pregato per anni “senza provarne alcun gusto, senza percepirne l’utilità”, procedendo “in un’oscurità quasi totale, senza punti di riferimento”. Al punto che un grande mistico come San Giovanni della Croce, parlò di “notte oscura dell’anima”.
Qualcuno si domanda: “Perché Dio sta in silenzio?”. Altri si fanno prendere dal sospetto “che la preghiera sia una mera operazione psicologica; qualcosa che magari è utile, ma non vera né necessaria”. Il Catechismo menziona una serie di “nemici della preghiera”, tra i quali: «Scoraggiamento dinanzi alle nostre aridità, tristezza di non dare tutto al Signore, poiché abbiamo “molti beni”, delusione per non essere esauditi secondo la nostra volontà, ferimento del nostro orgoglio che si ostina sulla nostra indegnità di peccatori, allergia alla gratuità della preghiera» (n. 2728).
Il Papa ha quindi riportato alcune testimonianze dei santi, utili per “affrontare i tempi irti di difficoltà”: non “teorie elaborate a tavolino” ma “consigli nati dall’esperienza, che mostrano l’importanza di resistere e di perseverare nella preghiera”.
Negli Esercizi spirituali, Sant’Ignazio di Loyola illustra la “vocazione cristiana” come una “militanza”, ovvero come la scelta di “stare sotto la bandiera di Gesù Cristo e non sotto quella del diavolo, cercando di fare il bene anche quando ciò diventa difficile”.
Anche Sant’Antonio abate affrontò “momenti terribili, in cui la preghiera si trasformava in dura lotta”. Come ricorda il suo biografo Sant’Atanasio, Sant’Antonio visse una delle sue crisi peggiori intorno ai 35 anni. “Antonio fu turbato da quella prova, ma resistette”. Poi, tornato il sereno, quasi rimproverò il Signore: “Perché non sei venuto subito a porre fine alle mie sofferenze?”. Gesù gli rispose: “Antonio, io ero là. Ma aspettavo di vederti combattere”.
Francesco ha quindi raccontato un episodio capitato quando ancora era arcivescovo di Buenos Aires. Un padre, di fronte alla figlioletta di nove anni, ricoverata e gravemente malata, prese una decisione drastica. Sentiti i medici dire che la bambina non avrebbe superato la notte, il poveruomo uscì dall’ospedale in lacrime e si avviò in treno verso il santuario mariano di Lujan, a 70 chilometri dalla capitale.
Giunto intorno alle dieci di sera, trovò la basilica chiusa: si aggrappò alle grate, pregando tutta la notte. Quando finalmente, all’alba, la chiesa riaprì, l’uomo entrò e “salutò la Madonna”. Al suo ritorno trovò la figlia “guarita” e “sorridente”. “Lottando con la preghiera, la Madonna lo aveva ascoltato”, ha commentato il Santo Padre, ammonendo: “A volte chiediamo una grazia di cui abbiamo bisogno ma senza voglia senza combattere”.
Anche se “in un momento di cecità non riusciamo a scorgere la sua presenza”, Gesù è “sempre con noi”. Potremo dire, con il patriarca Giacobbe: “Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo” (Gen 28,16). E alla fine della nostra vita, ha concluso Bergoglio, potremo dire: “Pensavo di essere solo, invece no, non lo ero: Gesù era con me”.
Luca Marcolivio
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