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Udienza generale: lo “scandalo” di un Padre misericordioso

Pregare è sempre necessario ma non tutte le preghiere sono buone. Al punto, che, in certi casi, Dio può respingerle. Ma è proprio Dio, rivelandosi in suo Figlio, che ci insegna a pregare.

Durante l’udienza generale proseguendo il suo ciclo di catechesi sulla preghiera, papa Francesco ha tratto spunto dalla conclusione del prologo del Vangelo di Giovanni.

Non tutte le preghiere sono uguali, né convenienti

«Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18). È Gesù che ci ha rivelato “l’identità di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo”. In precedenza, ha detto il Santo Padre, “non sapevamo come si potesse pregare: quali parole, quali sentimenti e quali linguaggi fossero appropriati per Dio”.

Nella richiesta dei discepoli al Maestro, “c’è tutto il brancolamento dell’uomo, i suoi ripetuti tentativi, spesso falliti, di rivolgersi al Creatore: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc 11,1)”. Non tutte le preghiere, infatti, sono “uguali”, né tutte sono “convenienti”: la stessa Bibbia testimonia “il cattivo esito di tante preghiere, che vengono respinte. Forse Dio – ha aggiunto il Pontefice – a volte non è contento delle nostre orazioni e noi nemmeno ce ne accorgiamo. Dio guarda le mani di chi prega: per renderle pure non bisogna lavarle, semmai bisogna astenersi da azioni malvage”.

Non ci sono parole degne di nominarLo…

San Francesco diceva a Dio: “Nessun uomo è degno di nominarti” (Cantico di Frate Sole). Il “riconoscimento più commovente della povertà della nostra preghiera” è però quello del “centurione romano che un giorno supplicò Gesù di guarire il suo servo malato” (cfr Mt 8,5-13). Quest’ultimo “non era ebreo, era ufficiale dell’odiato esercito di occupazione”, quindi, forse del tutto ‘fuori luogo’. Eppure, lui stesso osa: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito» (v. 8).

Dialogare con Dio è una “grazia”, di cui “non siamo degni”: con Lui “zoppichiamo con ogni parola e ogni pensiero. È inspiegabile il motivo per cui “l’uomo dovrebbe essere amato da Dio”. Gli antichi nemmeno si ponevano il problema: per loro “non è contemplato il caso di un dio che si preoccupi delle vicende umane; anzi, esse sono fastidiose e noiose, del tutto trascurabili”. Ci sono filosofi come Aristotele, secondo i quali “Dio può solo pensare a sé stesso”. Al massimo, gli uomini possono provare a “imbonire la divinità e di risultare gradevoli ai suoi occhi”, offrendo continui “sacrifici” e “devozioni” per ingraziarsi “un Dio muto e indifferente”.

Vicinanza, compassione e tenerezza sono lo “stile di Dio”

Non così il Dio giudaico-cristiano. Si legge, infatti, nel Deuteronomio: “Qual grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?” (Dt 4,7). È nella Bibbia, quindi, che, per la prima volta, si apre un “dialogo con Dio”. Che Dio possa amare l’uomo, “non noi non avremmo mai avuto il coraggio di crederlo se non avessimo conosciuto Gesù. È un vero e proprio “scandalo”, quello di un “padre misericordioso” che attende paziente il figlio lontano o di un “pastore che va in cerca della pecora perduta (cfr Lc 15)”. Tutto ciò sarebbe inconcepibile “se non avessimo conosciuto Gesù”.

Del resto, ha proseguito il Papa, “quale Dio è disposto a morire per gli uomini? Quale Dio ama sempre e pazientemente, senza la pretesa di essere riamato? Quale Dio accetta la tremenda mancanza di riconoscenza di un figlio che gli chiede in anticipo l’eredità e se ne va via di casa sperperando tutto?”. Nessun Dio è “Padre come lui”: “vicinanza”, “compassione” e “tenerezza” sono le tre “parole chiave” che manifestano “lo stile di Dio”. Ed è proprio “l’umanità di Gesù” che ha “reso disponibile per noi la vita stessa della Trinità”, spalancando “questo amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, ha poi concluso Francesco.

Luca Marcolivio

Luca Marcolivo

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