All’udienza generale di mercoledì 26 maggio, il Santo Padre ci ha ‘dato una indicazione ben precisa su come relazionarci col Signore.
Durante la catechesi odierna, il Santo Padre è partito da una “contestazione radicale” che si fa alla preghiera: ciò che chiediamo a Dio, spesso non si realizza.
Si può pregare anche per un motivo “nobile” – la “salute di un malato” o la cessazione di una guerra – ma, se poi non siamo esauditi, “ci appare scandaloso”. Anche il Catechismo prende atto che, proprio per questo, c’è persino chi smette di pregare (CCC, n.2734).
È sempre il Catechismo, comunque, a mettere in guardia “dal rischio di non vivere un’autentica esperienza di fede, ma di trasformare la relazione con Dio in qualcosa di magico”. La preghiera, infatti, “non è una bacchetta magica ma un dialogo con il Signore”, ha ricordato il Pontefice.
Si può cadere nella trappola di ritenere “di non essere noi a servire Dio, ma di pretendere che sia Lui a servire noi” (cfr n. 2735). Fino al punto di non ammettere “altri progetti se non i nostri desideri”.
La recita del Padre Nostro cambia ogni prospettiva. Si tratta, infatti, di una “preghiera di sole domande”, in cui, però, “le prime che pronunciamo sono tutte dalla parte di Dio”. Non un “nostro progetto” ma “la sua volontà nei confronti del mondo”.
Da parte sua, San Paolo (cfr Rm 8,26) esorta all’umiltà, affinché “le nostre parole siano effettivamente delle preghiere e non un vaniloquio che Dio respinge”.
Non mancano le preghiere per “motivi sbagliati”, come quando si prega per “sconfiggere il nemico in guerra, senza domandarsi che cosa pensa Dio di quella guerra”. Nella preghiera, infatti, “è Dio che deve convertire noi, non siamo noi che dobbiamo convertire Dio”.
Rimane, tuttavia, lo “scandalo” di quanti “pregano con cuore sincero” chiedendo “beni che corrispondono al Regno di Dio” e non vengono esauditi. “Quando una mamma prega per il figlio malato, perché a volte sembra che Dio non ascolti?”, si è domandato il Papa.
Una risposta a questo interrogativo angosciante si può ricavare dalla meditazione dei Vangeli. La vita di Gesù è costellata da richieste di guarigioni. “Sono tutte preghiere impregnate di sofferenza – ha detto Francesco –. È un immenso coro che invoca: ‘Abbi pietà di noi!’”.
Non sempre Gesù esaudisce subito. Pensiamo alla donna cananea che chiede la guarigione per la figlia e “deve insistere a lungo” (cfr Mt 15,21-28): a lei “non interessa l’umiliazione” ma che la figlia guarisca. C’è poi il paralitico cui Gesù inizialmente “perdona i suoi peccati e solo in un secondo tempo lo guarisce nel corpo” (cfr Mc 2,1-12).
C’è persino chi, come Giairo, chiede la guarigione della figlia, salvo poi venire a sapere che la bambina è morta. “Sembra la fine, invece Gesù dice al padre: «Non temere, soltanto abbi fede!» (Mc 5,36)”. E poco dopo la risveglia “dal sonno della morte”. Davanti alla “fede dei suoi uomini”, Gesù “cade vinto” e “ascolta”.
“Anche la preghiera che Gesù rivolge al Padre nel Getsemani sembra rimanere inascoltata”. Ad essa, infatti, seguirà il “calice della passione” ma il “terzo giorno” arriverà la “risurrezione”.
“Il Male è signore del penultimo giorno, mai dell’ultimo”. Ciò esorta a imparare l’“umile pazienza di aspettare la grazia del Signore: il penultimo giorno è sempre il più brutto ma l’ultimo lui risolve tutto”, ha quindi concluso il Pontefice.
Luca Marcolivio
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