Citando la lettera ai Galati il Santo Padre ci ricorda che dobbiamo guardarci dalle “ascesi artificiali” fondate soltanto sul formalismo.
La lettera di San Paolo ai Galati non è propriamente “di cortesia”. In altre epistole abbondano espressioni come “fratelli” o “carissimi” ma in questo caso, Paolo è più rude del solito e, per due volte, li chiama “stolti”.
A cosa è dovuto il diverso approccio dell’Apostolo delle Genti? Come spiegato da papa Francesco durante l’udienza generale di oggi, Paolo vuole porre i Galati “davanti alle scelte che hanno compiuto e alla loro condizione attuale, che potrebbe vanificare l’esperienza di grazia vissuta”.
L’espressione “stolti” non indica mancanza di intelligenza ma al fatto che essi “rischiano di perdere la fede in Cristo che hanno accolto con tanto entusiasmo”.
Allora Paolo, “non senza amarezza” li provoca affinché ricordino “il primo annuncio da lui compiuto, con il quale ha offerto loro la possibilità di acquisire una libertà fino a quel momento insperata”.
Per questo, Paolo decide di “scuotere le coscienze” dei Galati, ribadendo loro la centralità della persona di Gesù: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). È questo l’annuncio fondamentale da cui i Galati non devono lasciarsi “incantare dalla voce delle sirene che vogliono portarli a una religiosità basata unicamente sull’osservanza scrupolosa di precetti”.
Effettivamente, “lo Spirito Santo era stato il protagonista” dell’esperienza dei Galati: “metterlo ora in secondo piano per dare il primato alle proprie opere sarebbe stato da insensati”.
L’esortazione di San Paolo ai Galati è di grande attualità e “invita anche noi a riflettere su come viviamo la fede”. Poniamo al centro di tutto “l’amore di Cristo crocifisso e risorto” oppure “ci accontentiamo di qualche formalità religiosa per metterci la coscienza a posto?”.
“Siamo attaccati al tesoro prezioso, alla bellezza della novità di Cristo, oppure gli preferiamo qualcosa che al momento ci attira ma poi ci lascia il vuoto dentro?”, ha domandato ancora il Santo Padre, mettendo in guardia dall’“effimero” che “bussa spesso alla porta delle nostre giornate”, facendoci però “cadere nella superficialità”. Dietro una religiosità “rigida”, fatta di soli “precetti”, c’è sempre qualcosa di “brutto” e sicuramente “non c’è Dio”, ha ammonito il Pontefice.
Nella certezza dell’abbondanza dello Spirito, sappiamo che “Dio non ci abbandona ma rimane con noi col suo amore misericordioso”. Chiediamo allora a Dio, ha poi concluso il Papa “la saggezza di accorgerci sempre di questa realtà” e di prendere le distanze dalla “ascesi artificiale” proposta dai “fondamentalisti”.
Luca Marcolivio
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