L’Aula Paolo VI questa mattina era affollatissima di fedeli accorsi per ascoltare il Santo Padre durante l’udienza generale del mercoledì.
Il Pontefice continua il suo discorso sulla spiegazione dei vizi e delle virtù dell’uomo e, stavolta, ha deciso di concentrarsi su uno dei vizi che, anche a suo dire, “è uno dei più brutti”.
Stiamo parlando della tristezza. Vediamo cosa ci ha detto il Santo Padre.
Ce lo hanno sempre detto che essere tristi non è la migliore delle cose che c’è nella vita. E, questa mattina, nel corso della sua catechesi all’Udienza generale in aula Paolo VI, Papa Francesco ha deciso di incentrare la sua attenzione proprio su di lei, la tristezza.
“C’è una tristezza amica, che ci porta alla salvezza, e c’è una tristezza che è una malattia dell’anima, un abbattimento dell’animo, un’afflizione costante che impedisce all’uomo di provare gioia per la propria esistenza” – ha introdotto a braccio, Francesco.
Il Papa lo ha definito “un vizio un po’ bruttino”. Ma perché è tale? Ce lo spiega brevemente: c’è un tipo di tristezza, nella vita cristiana, che poi si tramuta in gioia e che fa parte del nostro cammino di conversione. Ma, purtroppo, dietro l’angolo, c’è anche dell’altro: “[…] Vi è anche una seconda figura di tristezza che si insinua nell’anima e che la prostra in uno stato di abbattimento: è questo secondo genere di tristezza che deve essere combattuto”.
Ed è a questo punto che il Papa, nel suo citare la parabola del Figliol Prodigo, cita in particolare il figlio di quell’uomo: “Quando tocca il fondo della sua degenerazione prova grande amarezza, e questa lo spinge a rientrare in sé stesso e a decidere di tornare a casa di suo padre. È una grazia gemere sui propri peccati, ricordarsi dello stato di grazia da cui siamo decaduti, piangere perché abbiamo perduto la purezza in cui Dio ci ha sognati” – spiega.
E l’altro tipo di tristezza? “Nasce nel cuore dell’uomo quando svanisce un desiderio o una speranza. Qui possiamo fare riferimento al racconto dei discepoli di Emmaus. Quei due discepoli se ne vanno da Gerusalemme con il cuore deluso, e allo sconosciuto che a un certo punto li affianca confidano: ‘Noi speravamo che fosse lui – cioè Gesù – a liberare Israele” – continua Francesco – “[…] È come prendere una caramella amara, amara, amara, senza zucchero, brutta, e succhiare quella caramella”.
Ma la tristezza fa parte delle dinamiche umane: “Nel cuore dell’uomo nascono speranze che vengono a volte deluse. Può essere il desiderio di possedere una cosa che invece non si riesce ad ottenere; ma anche qualcosa di importante, come una perdita affettiva. Quando questo capita, è come se il cuore dell’uomo cadesse in un precipizio, e i sentimenti che prova sono scoraggiamento, debolezza di spirito, depressione, angoscia” – continua il Pontefice. Ed ecco che, proprio in questi casi, si genera la tristezza che ci fa pensare che tutto ciò che c’è attorno a noi sta per andare in mille pezzi.
C’è chi si affida alla speranza, specifica il Papa, ma anche chi si abbatte: “[…] Certe amarezze rancorose, per cui una persona ha sempre in mente una rivendicazione che le fa assumere le vesti della vittima, non producono in noi una vita sana, e tanto meno cristiana. C’è qualcosa nel passato di tutti che dev’essere guarito”.
Una specifica precisa fa il Papa a ciascuno di noi: “La tristezza, da emozione naturale, può trasformarsi in uno stato d’animo malvagio […] È un demone subdolo, quello della tristezza. I padri del deserto lo descrivevano come un verme del cuore, che erode e svuota chi l’ha ospitato”. E conclude: “Dobbiamo stare attenti a questa tristezza e pensare che Gesù ci porta la gioia della Resurrezione. Ma cosa devo fare quando sono triste? Fermarti, vedere se è la tristezza buona o non buona, e reagire secondo la natura della tristezza. Non dimenticatevi che la tristezza può essere cosa molto brutta, che ci porta al pessimismo, a un egoismo che difficilmente guarisce”.
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