La santità coincide con il raggiungimento della perfetta pace interiore oppure è necessaria una “sana inquietudine”? Il tema è stato affrontato da papa Francesco nel corso dell’udienza generale.
La desolazione può essere “occasione di crescita”. Se, infatti, viene a mancare quel minimo di “insoddisfazione”, di “tristezza salutare”, quella “sana capacità di abitare nella solitudine, di stare con noi stessi senza fuggire, rischiamo di rimanere sempre alla superficie delle cose e non prendere mai contatto con il centro della nostra esistenza”.
Secondo il Santo Padre è più salutare uno “scuotimento dell’anima” che “mantiene desti, favorisce la vigilanza e l’umiltà e ci protegge dal vento del capriccio”.
Al contrario, una “serenità perfetta” ma “asettica”, quando diventa il “criterio di scelte e comportamenti, ci rende disumani, indifferenti alla sofferenza degli altri e incapaci di accogliere la nostra”. Inoltre, la “perfetta serenità” non si può raggiungere attraverso la “via dell’indifferenza”.
Molti santi sono stati mossi dall’“inquietudine” quando hanno voluto dare una “svolta alla propria vita”: tra questi, il Pontefice ha citato Agostino di Ippona, Edith Stein, Giuseppe Benedetto Cottolengo e Charles de Foucauld.
“Le scelte importanti hanno un prezzo che la vita presenta”, che è “alla portata di tutti” e che è anche un “invito alla gratuità, a non agire sempre e solo in vista di una gratificazione emotiva”.
La desolazione offre una “possibilità di crescere, di iniziare una relazione più matura, più bella, con il Signore e con le persone care, una relazione che non si riduca a un mero scambio di dare e avere”.
Spesso da bambini si cercano i genitori “non per se stessi, ma per un interesse”, per ottenere da loro un “giocattolo” o un “gelato”. Eppure, “il dono più grande sono loro, i genitori, e questo lo capiamo man mano che cresciamo”.
La stessa dinamica si manifesta con Gesù, “spesso circondato da tanta gente che lo cercava per ottenere qualcosa, guarigioni, aiuti materiali, ma non semplicemente per stare con Lui. Era pressato dalle folle, eppure era solo”, ha osservato il Papa.
“Alcuni santi, e anche alcuni artisti, hanno meditato su questa condizione di Gesù”. Chiedere al Signore: “Come stai?”, può suonare “strano” e “irreale”. Invece, è “una maniera molto bella di entrare in una relazione vera, sincera, con la sua umanità, con la sua sofferenza, anche con la sua singolare solitudine”.
Così come “ci fa tanto bene” stare con Gesù, lo stesso avviene “con le persone a cui vogliamo bene: desideriamo conoscerle sempre più, perché è bello stare con loro”.
La vita spirituale, in definitiva, non coincide con un “benessere interiore”, che nemmeno possiamo “programmare” ma con la “relazione con il Vivente”, con Dio, che è “irriducibile alle nostre categorie” e non può essere la “proiezione dei nostri desideri”.
Può capitare che, nella preghiera, “esperienze e passi della Bibbia che ci hanno spesso entusiasmato, oggi, stranamente, non suscitano alcun trasporto”; al contrario, “altrettanto inaspettatamente, esperienze, incontri e letture a cui non si era mai fatto caso o che si preferirebbe evitare – come l’esperienza della croce – portano una pace immensa”.
Quando, nella desolazione, si cerca “il cuore di Cristo”, la “risposta arriva sempre”. Se invece, sentiamo dentro di noi “una voce insistente che vuole distoglierci dalla preghiera”, bisogna imparare a “smascherarla come la voce del tentatore”, senza lasciarsi “impressionare” ma semplicemente, facendo “proprio il contrario di quello che ci dice!”.
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