Al rientro dal viaggio in Mongolia il Papa ha esortato tutti a meditare sul «biglietto da visita» del vero cristiano.
Ripercorrendo le tappe più significative della sua trasferta in terra mongola, Francesco non ha mancato di soffermarsi sul senso più genuino della cattolicità della Chiesa.
Rientrato dal viaggio apostolico in Mongolia (dal 31 agosto al 4 settembre), papa Francesco ha iniziato l’udienza esprimendo la sua riconoscenza per chi lo ha accompagnato con la preghiera, ringraziando il popolo e le autorità della Mongolia per la calorosa accoglienza. Francesco ha poi voluto riportare tutti al «cuore» del suo viaggio.
Perché il Papa intraprende viaggi lontani come quello in terra mongola? Perché lontano dai riflettori si trovano i segni della presenza di Dio, ha detto Francesco. Come ricorda del resto il brano del profeta Samuele letto all’inizio dell’udienza, dove si afferma che Dio guarda al cuore, non alle apparenze.
La toccante storia di una giovane chiesa
Francesco ha riepilogato velocemente la storia della Chiesa in Mongolia, espressione della missionarietà e della cattolicità della Chiesa. La chiesa mongola, ha detto Francesco, ha una «storia toccante». È sorta per grazia di Dio, «dallo zelo apostolico di alcuni missionari che, appassionati dal Vangelo, circa trent’anni fa, sono andati in quel Paese fa che non conoscevano».
Una chiesa giovanissima dunque quella mongola, nata dalla spinta missionaria. Francesco ha poi invitato, riprendendo un tema a lui caro, a non confondere evangelizzazione e proselitismo. I missionari non sono andati lì a fare proselitismo, ma a vivere con quel popolo. Ne hanno imparato la lingua (cosa non facile per loro) e condiviso la cultura per annunciare il Vangelo con le parole di quella popolazione.
Pur venendo da nazioni differenti, hanno creato una comunità unita. Hanno espresso così il vero significato della parola «cattolico» che, ha ricordato Francesco, vuol dire «universale». Una universalità incarnata, inculturata, non astratta e omologante.
Qual è il «biglietto da visita» del cristiano
Il pontefice ha voluto ricordare anche la benedizione e l’inaugurazione della «Casa della misericordia», prima opera caritativa sorta in Mongolia. Una casa, ha spiegato Francesco, che aspira essere il «biglietto da visita» dei cristiani della Mongolia. Un segno che al tempo stesso richiama ogni comunità cristiana a essere «casa della misericordia», cioè «luogo aperto, luogo accogliente, dove le miserie di ciascuno possano entrare senza vergogna» a contatto con la misericordia di Dio risanatrice e liberante.
Papa Francesco ha sottolineato la capacità della chiesa mongola, ben radicata nelle sue radici, di entrare in dialogo con la grande cultura del continente asiatico e in particolare con la sua tradizione buddista. Altra virtù del popolo mongolo è lo sguardo rivolto verso il cielo e la sua capacità di guardare al bene. Francesco ha rimarcato questa capacità di saper riconoscere il bene, sconfiggendo la tentazione che ci porta a fissare il nostro sguardo sul male. Così spesso e volentieri siamo portati a guardare l’albero che cade facendo rumore e non la foresta che cresce rigogliosa nel silenzio.
Per questo è importante seguire l’esempio del popolo mongolo e rivolgere lo sguardo verso l’alto e valorizzare l’altro. Il saggio popolo mongolo «scruta il cielo e sente il respiro del creato», ha detto il Papa. Francesco ha concluso invitando ciascuno a «guardare alto». Ha esortato tutti ad «allargare lo sguardo», a «dilatare il cuore» per cogliere il bene che c’è nell’altro.