La denuncia del Pontefice risuona in occasione del consueto appuntamento del mercoledì mattina.
La Lettera ai Galati meditata stamattina da papa Francesco durante l’udienza generale riferisce dell’aspro rimprovero di San Paolo a San Pietro.
Questo ‘alterco’ mostra come “ancora una volta” quanto sia “in gioco il rapporto tra la Legge e la libertà”. Rievocando quell’episodio, Paolo intende raccomandare a quella comunità di primi cristiani di non dare “assolutamente dare ascolto a quanti predicano la necessità di farsi circoncidere”.
Tutto nasce dalla legge che “proibiva di prendere i pasti con i non ebrei”. Eppure, ha ricordato il Santo Padre, “lo stesso Pietro, in un’altra circostanza, era andato a Cesarea nella casa del centurione Cornelio, pur sapendo di trasgredire la Legge”.
È proprio in quella circostanza, che Pietro ammette: «Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo» (At 10,28). Per questo suo comportamento, Pietro viene rimproverato dai discepoli ma lui si difende ricordando le parole di Gesù: “Giovanni battezzò con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo”.
Questa premessa è necessaria per comprendere il successivo acceso confronto tra Pietro e Paolo. Inizialmente, “Pietro stava a mensa senza alcuna difficoltà con i cristiani venuti dal paganesimo”. In seguito, però, dopo l’arrivo di alcuni “cristiani circoncisi da Gerusalemme” sospende quell’abitudine “per non incorrere nelle loro critiche”.
Paolo considera “grave” questo atteggiamento di Pietro, tanto più che quest’ultimo “veniva imitato da altri discepoli, primo fra tutti Barnaba”. Il suo “sbaglio”, ha commentato il Pontefice, era stato nell’essere “più attento alla bella figura che alla realtà delle relazioni”. Senza volerlo, quindi, Pietro, con quel modo di fare, non chiaro non trasparente creava di fatto un’ingiusta divisione nella comunità.
Il “nocciolo della questione” è in una parola che, in questa circostanza, Paolo usa senza mezzi termini: “ipocrisia”. Secondo il Papa, l’ipocrisia si può definire come una “paura per la verità”, in forza della quale, “si preferisce fingere piuttosto che essere sé stessi”.
Una “finzione” che “impedisce il coraggio di dire apertamente la verità”, in cui “le relazioni interpersonali sono vissute all’insegna del formalismo”, all’insegna di un “sorriso” falso che “non viene dal cuore”.
Francesco ha quindi citato un episodio veterotestamentario, quello del novantenne Eleazaro, cui viene consigliato di “fingere di mangiare la carne sacrificata alle divinità pagane pur di salvare la sua vita”.
Eleazaro, però, si ribella, rifiutando l’idea che il suo comportamento possa essere equivocato, che i giovani pensino che lui sia passato ad “usanze straniere” e che lui procuri così “disonore e macchia” alla propria vecchiaia.
Anche Gesù, in tante occasioni, “rimprovera fortemente coloro che appaiono giusti all’esterno, ma dentro sono pieni di falsità e d’iniquità” (cfr Mt 23,13-29). L’ipocrita, del resto, è “una persona che finge, lusinga e trae in inganno perché vive con una maschera sul volto, e non ha il coraggio di confrontarsi con la verità”, ha sottolineato il Pontefice.
L’ipocrita “non è capace di amare veramente: si limita a vivere di egoismo e non ha la forza di mostrare con trasparenza il suo cuore”. L’ipocrisia, ha proseguito il Papa, “si nasconde nel luogo di lavoro, dove si cerca di apparire amici con i colleghi mentre la competizione porta a colpirli alle spalle”. In particolare, in politica, ha aggiunto, si vive spesso “uno sdoppiamento tra il pubblico e il privato”.
“È particolarmente detestabile l’ipocrisia nella Chiesa”, ha proseguito Francesco ma “purtroppo esiste”, come testimoniano “tanti cristiani e ministri ipocriti”.
In conclusione, Bergoglio, ha esortato a “non aver paura di essere veritieri”, perché “agire altrimenti significa mettere a repentaglio l’unità nella Chiesa, quella per la quale il Signore stesso ha pregato”.
Luca Marcolivio
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