Nel momento in cui si prega, è importante scoprire dove è diretta la nostra preghiera e se quest’ultima si pone o meno in contraddizione con le azioni concrete e con le reali intenzioni del nostro cuore.
Quand’è che, nel discernimento, una consolazione può dirsi autentica? Lo è quando, in ogni suo risvolto, è orientata al bene. Il concetto è stato sviluppato da papa Francesco durante l’udienza generale odierna.
Le tentazioni ricorrenti in convento
Un interrogativo del genere, ha sottolineato il Santo Padre, è importantissimo ai fini di “un buon discernimento, per non essere ingannati nella ricerca del nostro vero bene”.
Negli Esercizi spirituali, Sant’Ignazio di Loyola affermava: «Se nei pensieri tutto è buono, il principio, il mezzo e la fine, e se tutto è orientato verso il bene, questo è un segno dell’angelo buono».
Se, al contrario, nella consolazione, interviene qualche elemento «cattivo», «distrattivo» o «meno buono di quello che l’anima prima si era proposta di fare» o qualcosa che rende inquieti, ciò, secondo Sant’Ignazio, è «un chiaro segno che quei pensieri provengono dallo spirito cattivo» (n° 333).
Quando la preghiera “si accompagna ad affetto verso il Signore e il prossimo”, significa che “è un principio buono”. Può capitare, tuttavia, che “quel pensiero sorga per evitare un lavoro o un incarico che mi è stato affidato: ogni volta che devo lavare i piatti o pulire la casa, mi viene una grande voglia di mettermi a pregare!”. Ciò spesso “succede nei conventi”, ha ammonito Francesco.
Attenzione al fariseo che è in noi!
La preghiera, quindi, non è “una fuga dai propri compiti” ma “al contrario è un aiuto a realizzare quel bene che siamo chiamati a compiere, qui e ora”. Tutto questo, però, non basta: se si prega “come fa il fariseo della parabola” (cfr Lc 18,9-14), compiacendosi di stessi e disprezzando gli altri, è segno che “lo spirito cattivo ha usato quel pensiero come chiave di accesso per entrare nel mio cuore e trasmettermi i suoi sentimenti”, quindi la preghiera “finisce male”.
Ulteriore criterio è: “dove mi porta quel pensiero?”. Se l’impegno in un’“opera bella e meritevole” mi dovesse indurre a “non pregare più, mi scopro sempre più aggressivo e incattivito, ritengo che tutto dipenda da me, fino a perdere fiducia in Dio. Qui evidentemente c’è l’azione dello spirito cattivo”.
Lo “stile del nemico” (ovvero il diavolo che, ha ribadito il Papa, “esiste”), è quello di “presentarsi in maniera subdola, mascherata”, partendo “da ciò che ci sta maggiormente a cuore”: cosicché “il male entra di nascosto, senza che la persona se ne accorga”.
Le “password” della nostra anima
Per tutte queste ragioni, è importante fare un “esame dell’origine e della verità dei propri pensieri”, apprendendo “dalle esperienze, da quello che ci capita, per non continuare a ripetere i medesimi errori”.
“Quanto più conosciamo noi stessi – ha proseguito il Pontefice – tanto più avvertiamo da dove entra il cattivo spirito, le sue “password”, le porte d’ingresso del nostro cuore, che sono i punti su cui siamo più sensibili, così da farvi attenzione per il futuro”.
A tale scopo, è fondamentale compiere “l’esame di coscienza quotidiano”, facendo il punto su “cosa è successo nel mio cuore”. Per questo “accorgersi di ciò che capita” è “segno che la grazia di Dio sta lavorando in noi, aiutandoci a crescere in libertà e consapevolezza”.
La “consolazione vera” si avverte nella “conferma del fatto che stiamo compiendo ciò che Dio vuole da noi, che camminiamo sulle sue strade, cioè nelle strade della vita, della gioia, della pace”.
Quando si fa discernimento, non basta scegliere il “bene” o il “massimo bene possibile” ma individuato “ciò che è bene per me qui e ora”. Per questo, vanno posti dei “limiti ad altre proposte, attraenti ma irreali, per non essere ingannato nella ricerca del vero bene”.
In conclusione, il Santo Padre ha esortato tutti a compiere regolarmente l’esame di coscienza a fine giornata per “capire cosa succede nel mio cuore. Fatelo, sono solo due minuti ma vi farà bene, ve lo assicuro”.