Cosa vuol dire discernimento? L’espressione è una delle più utilizzate in ambito spiritual-ecclesiastico. Papa Francesco ne sta trattando durante l’attuale ciclo di udienze generali.
Primo elemento costitutivo del discernimento è la “preghiera”. Essa è un “aiuto indispensabile” a tale scopo, “soprattutto quando coinvolge gli affetti, consentendo di rivolgerci a Dio con semplicità e familiarità, come si parla a un amico”, ha spiegato in primo luogo il Santo Padre, durante l’udienza odierna.
Nessuna “certezza assoluta”
Fare discernimento vuol dire “andare oltre i pensieri, entrare in intimità con il Signore, con una spontaneità affettuosa”. I santi sono tali, innanzitutto per la loro “familiarità” e “confidenza con Dio” che permette loro di “riconoscere quello che a Lui è gradito”.
È proprio grazie alla familiarità con il Signore che si “vince la paura o il dubbio che la sua volontà non sia per il nostro bene, una tentazione che a volte attraversa i nostri pensieri e rende il cuore inquieto e incerto o amaro”.
Non va pretesa la “certezza assoluta” nel discernimento, poiché “la vita non è sempre logica”. Lo stesso San Paolo ammetteva: «Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,19).
Ciò avviene perché “non siamo solo ragione, non siamo macchine, non basta ricevere delle istruzioni per eseguirle: gli ostacoli, come gli aiuti, a decidersi per il Signore sono soprattutto affettivi”.
La tentazione che Dio non ci voglia felici
Il Pontefice ha menzionato l’episodio dell’esorcismo compiuto da Gesù nella sinagoga di Cafarnao (cfr Lc 1,21-28), quando scaccia un demonio, “liberandolo dalla falsa immagine di Dio che Satana suggerisce fin dalle origini: quella di un Dio che non vuole la nostra felicità”. Quello stesso demonio, infatti, rivolto a Gesù, dice: «Sei venuto a rovinarci» (v. 24).
L’idea che “prendere sul serio la sua proposta significhi rovinarsi la vita, mortificare i nostri desideri, le nostre aspirazioni più forti” è diffusa anche tra “molti cristiani”.
Talora si è tentati dal pensare che “Dio ci chieda troppo, o voglia portarci via ciò che abbiamo di più caro. Che insomma non ci voglia davvero bene”. Al contrario, “il segno dell’incontro con il Signore è la gioia”, mentre “la tristezza, o la paura, sono invece segni di lontananza da Lui”.
Del resto, il giovane ricco citato dal Vangelo di Matteo (cfr 19,17-22), quando rinuncia a seguire Gesù, diventa “triste”. Egli “era un giovane interessato, intraprendente, aveva preso l’iniziativa di incontrare Gesù, ma era anche molto diviso negli affetti, per lui le ricchezze erano troppo importanti”, ha sottolineato il Papa, aggiungendo che questo episodio mostra che “Gesù non costringe mai a seguirlo, ti lascia libero” e “questa è la cosa più bella”.
Chi si vuol bene, finisce per assomigliarsi
Fare discernimento non mai facile, perché “le apparenze ingannano, ma la familiarità con Dio può sciogliere in modo soave dubbi e timori”. Si tende a dire che “due sposi che hanno vissuto insieme tanto tempo volendosi bene finiscono per assomigliarsi”. Qualcosa di simile avviene con la “preghiera affettiva”, che dà la grazia di “vivere una relazione di amicizia con il Signore”.
A riguardo, il Papa ha ricordato di un suo confratello che “ogni volta che poteva, si avvicinava all’altare e diceva ‘ciao’ a Gesù”. Pregare non è recitare una moltitudine di “parole che non arrivano al cuore” ma è imparare a “vedere Gesù come il nostro Amico più grande e fedele, che non ricatta, soprattutto che non ci abbandona mai, anche quando noi ci allontaniamo da Lui”, ha quindi concluso Francesco.