Papa Francesco si è soffermato sull’esame di coscienza serale, un’azione spesso fraintesa nella sua essenza.
Ingrediente indispensabile per il discernimento è la “propria storia di vita”. La vita di ognuno è il “libro più prezioso che ci è stato consegnato”, che però, purtroppo, molti “non leggono” o leggono “troppo tardi, prima di morire”.
La lezione di Sant’Agostino
Eppure, è proprio nel libro della vita che è possibile trovare ciò che “si cerca inutilmente per altre vie”. Un altissimo testimone, in tal senso, è Sant’Agostino che, rileggendo a ritroso la propria vita seppe notare “i passi silenziosi e discreti, ma incisivi, della presenza del Signore”.
Così si esprime Agostino nelle Confessioni: «Tu eri dentro di me, e io fuori. E là ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Tu eri con me, ma io non ero con te» (Confessioni X, 27.38).
Molto spesso, ha osservato il Santo Padre, ci si ritrova imprigionati in “pensieri che ci allontanano da noi stessi”, in “messaggi stereotipati che ci fanno del male”, del tipo: “io non valgo niente”, “a me tutto va male”, “non realizzerò mai nulla di buono”, ecc.
Rileggere la propria storia, significa anche riconoscere tali elementi “tossici”, allargando però la “trama del nostro racconto”, rendendolo “più rispettoso della complessità” e cogliendo i “modi discreti con cui Dio agisce nella nostra vita”.
Il Pontefice ha quindi raccontato di aver conosciuto, anni fa, una persona di cui molti dicevano meritasse “il Premio Nobel per la negatività”: per lui “tutto era brutto e cercava sempre di buttarsi giù”, amareggiandosi, eppure “aveva grandi qualità”.
Un giorno, però, quest’uomo incontrò una persona che, al fine di aiutarlo, per ogni parola negativa su di sé, gli diceva: “dì anche una cosa buona di te”. Discernere, quindi, è “leggere la propria vita”, per “vedere le cose meno buone ma anche le cose buone che Dio semina in noi”.
Per scoprire le perle, serve uno scavo laborioso
Ogni discernimento, ha ribadito il Papa, inserisce ogni azione “in un contesto: da dove viene questo pensiero? Dove mi porta? Quando ho avuto modo di incontrarlo in precedenza? Perché è più insistente di altri?”.
Questo esame introspettivo aiuta a “cogliere sfumature e dettagli importanti, che possono rivelarsi aiuti preziosi fino a quel momento rimasti nascosti”. Talvolta, “una lettura, un servizio, un incontro, a prima vista ritenuti cose di poca importanza, nel tempo successivo trasmettono una pace interiore, trasmettono la gioia di vivere e suggeriscono ulteriori iniziative di bene”.
Fare ciò aiuta a raccogliere “quelle perle preziose e nascoste che il Signore ha disseminato nel nostro terreno”, attraverso uno “scavo lento e continuo”. Infatti, “lo stile di Dio è discreto, non si impone; è come l’aria che respiriamo, non la vediamo ma ci fa vivere, e ce ne accorgiamo solo quando ci viene a mancare”.
Abituarsi a rileggere la propria vita, aiuta a “notare i piccoli miracoli che il buon Dio compie per noi ogni giorno”, rafforza “il gusto interiore, la pace e la creatività” e, soprattutto, “rende più liberi dagli stereotipi tossici”.
In tal senso, è utile guardare alle “vite dei santi”, a partire da Sant’Ignazio di Loyola, il quale avendo dedotto che “alcuni pensieri lo lasciavano triste, altri allegro”, imparò a “conoscere la diversità degli spiriti che si agitavano in lui”.
Il discernimento è, in definitiva, “la lettura narrativa delle consolazioni e delle desolazioni che sperimentiamo nel corso della nostra vita. È il cuore a parlarci di Dio, e noi dobbiamo imparare a comprendere il suo linguaggio”.
In conclusione, Francesco ha accennato al fatto che un buon esame di coscienza a fine giornata non va ridotto, come alcuni credono, alla “contabilità dei propri peccati” ma, per l’appunto, al discernimento di “cosa mi ha reso triste o felice”, di modo da “imparare a discernere dentro di noi”.