Francesco prende spunto dal Vangelo per lanciare un appello a tutti i movimenti per non incappare in un pericolosa deriva.
Conclusa la pausa di luglio, papa Francesco è tornato a tenere l’udienza generale, riprendendo il ciclo di catechesi sulla Lettera di San Paolo ai Galati.
“Quando si tratta del Vangelo e della missione di evangelizzare – ha esordito il Pontefice – Paolo si entusiasma, esce fuori di sé. Sembra non vedere altro che questa missione che il Signore gli ha affidato”.
L’Apostolo delle Genti “interpreta tutta la sua esistenza come una chiamata a evangelizzare: «Guai a me – dice – se non annuncio il Vangelo» (1Cor 9,16)”.
Paolo è consapevole di essere stato “messo a parte” per “portare il Vangelo a tutti, e non può fare altro che dedicarsi con tutte le sue forze a questa missione”.
Da ciò si comprende “la tristezza, la delusione e perfino l’amara ironia dell’Apostolo nei confronti dei Galati, che ai suoi occhi stanno prendendo una strada sbagliata, che li porterà a un punto di non ritorno”.
La peculiarità di Paolo è che, a differenza di noi, non pensa ai “quattro vangeli”, tanto più che, al momento in cui scrive, “nessuno dei quattro vangeli è ancora stato scritto”.
Quando Paolo parla di “Vangelo”, intende “il kerygma, l’annuncio della morte e risurrezione di Gesù come fonte della salvezza”. Un Vangelo che si riassume in “quattro verbi”: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto, è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e apparve a Cefa» (1Cor 15,3-5).
Paolo non si capacita del perché i Galati stiano pensando di accogliere un “altro vangelo, forse più sofisticato, più intellettuale”. Essi ancora non hanno compiuto un “passo falso” ma lui “li ammonisce con forza”.
In primo luogo, i Galati non sono ancora maturi per ricevere la predicazione del Vangelo. Essi “non conoscono ancora la complessità della Legge mosaica e l’entusiasmo nell’abbracciare la fede in Cristo li spinge a dare ascolto ai nuovi predicatori, illudendosi che il loro messaggio sia complementare a quello di Paolo”.
Il Vangelo, però, “è uno solo” ma “Paolo non dice che il vero Vangelo è il suo perché è stato lui ad annunciarlo”. Egli sta infatti annunciando l’unico Vangelo “autentico”, quello “di Gesù Cristo”. Nel ricordarlo, Paolo usa “termini molto duri” come “anatema”, per proteggere la comunità “da ciò che minaccia le sue fondamenta”.
Quando si parla di Vangelo, “non si scende a compromessi”, “con la verità del Vangelo non si può negoziare”, perché “la fede in Gesù non è merce da contrattare” ma “è salvezza è incontro, è redenzione, non si vende a buon mercato”.
Eppure, ha sottolineato il Santo Padre, i “Galati che danno ascolto ai nuovi missionari pensano che con la circoncisione potranno essere ancora più dediti alla volontà di Dio e quindi essere ancora più graditi a Paolo”.
“I nemici di Paolo – ha proseguito il Pontefice – sembrano essere animati dalla fedeltà alla tradizione ricevuta dai padri e ritengono che la fede genuina consista nell’osservanza della Legge”. Essi, quindi, accusano Paolo di essere “poco ortodosso nei confronti della tradizione”.
Paolo è segnato da un’“ansia pastorale” che “lo porta a essere severo, perché vede il grande rischio incombente sui giovani cristiani”. Egli è mosso da un “totale entusiasmo per la novità del Vangelo, una novità radicale, non passeggera, non ci sono Vangeli alla moda”.
Tutto ciò implica la necessità di “discernere”. Il confronto anche aspro di San Paolo con i Galati richiama, secondo il Papa, la realtà di talune comunità odierne che “riducono tutto il Vangelo al proprio movimento”, mettendo al centro il proprio fondatore. Ciò, ha ammonito Francesco, “potrà aiutare all’inizio ma non fa frutti con radici profonde”.
Alla luce di tutto questo, “la parola chiara e decisa di Paolo fu salutare per i Galati ed è salutare anche per noi – ha concluso il Santo Padre –. Il Vangelo è il dono di Cristo a noi, è quello che ci dà vita”.
Luca Marcolivio
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