“L’ultima Cena” di Leonardo da Vinci, nel 1943 stava per esser distrutta dai bombardamenti alleati che avevano messo a ferro e fuoco la città.
Quando nemmeno la guerra ha rispetto per l’arte, solo l’uomo può salvarla. Ecco cosa è successo, durante la Seconda Guerra Mondiale, ad un quadro di Leonardo.
Un quadro di inestimabile valore ma anche, e soprattutto, di importante valore storico e religioso. Stiamo parlando dell’ “Ultima Cena” di Leonardo da Vinci, custodita, ancora oggi, a Milano. Nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, qualcosa stava per distruggere uno dei più importanti quadri al mondo.
Ma andiamo con ordine. 8 agosto 1943: è la data d’inizio dei bombardamenti alleati per liberare l’Italia dall’oppressione nazifascista. Di lì a poco, l’8 settembre, sarebbe stato firmato l’armistizio e la nostra penisola si ritroverà divisa esattamente a metà: a Sud il governo e l’avanzata americana, a Nord invece la resistenza fascista con la Repubblica di Salò.
Ma fu proprio quel 8 agosto che segnò la città di Milano in modo indelebile. Una pioggia di bombe alleate iniziò a cadere sulla città, mettendo a repentaglio non solo la vita dei cittadini, ma anche l’intero patrimonio culturale della città stessa.
Fra il 15 e il 16 agosto, uno dei dipinti più importanti di Leonardo da Vinci rischiava di esser distrutto. L’Ultima Cena non era più al sicuro. Una bomba cadde proprio nel Chiostro accanto al luogo dove si trovava l’opera. Lo scoppio provocò il crollo di una parete che, per soli 20 metri, mancò di colpire e distruggere per sempre il quadro.
Il Chiostro dei Morti, così era chiamato il luogo in cui caddero gli ordigni, e una parete ad Est del quadro crollò. Nulla, invece, accadde per la parete nord, dove si trovava il dipinto. Ma il crollo di quella parete aveva provocato un danno maggiore, ovvero quello di esporre il quadro all’aria e al clima della calura estiva, che l’avrebbe, comunque, potuto danneggiare.
Fu il priore dei Padre domenicani, allora a capo della Chiesa dov’era custodita l’opera, il primo ad andare a vedere cosa fosse accaduto. Ma la situazione dell’intera chiesa di Santa Maria delle Grazie (complesso dove era custodita l’opera) aveva subito gravi danni.
Cosa si poteva fare? Non c’era momento da perdere. L’aiuto arrivò da altri confratelli domenicani che, tolta la tonaca ed indossata la tuta da lavoro, iniziarono un lavoro immane, a partire dalla ricerca di teli impermeabili per proteggere e, se possibile, trasportare l’opera altrove in un luogo più sicuro.
Ma non fu un’impresa felice. Quando il quadro tornò alla pubblica venerazione due anni dopo, nel 1945, ci si rese conto di un danno irreparabile. A causa dell’umidità e del non arieggiamento del quadro, chiuso sotto importanti teli impermeabili, la testa di Cristo era completamente scomparsa.
Per questo fu necessario un intervento di restauro durato ben 20 anni, dal 1978 al 1998, guidato da Pinin Barcilon Brambilla.
Oggi l’opera leonardiana ha di nuovo visto la sua antica bellezza. Ma cosa ne sarebbe stato senza il coraggio di quei frati domenicani in quella notte del 1943? Un grazie va in particolare a loro.
ROSALIA GIGLIANO
Fonte: artonauti.it
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