Che nella Chiesa attuale ci siano diffusi problemi di ortodossia è una di quelle verità così banali da essere divenuta lapalissiana. E’ innegabile e riconosciuta da tutti, salvo coloro che, portando avanti principi e dottrine eterodosse, vogliono però presentarle come conformi al Vangelo e alla Tradizione, proprio per diffonderle meglio e in modo indolore. Martin Lutero, l’eretico per antonomasia, negò la validità di 5 sacramenti su 7, e condannò molti dogmi e principi del cattolicesimo. Tra essi, la presenza reale di Cristo nell’eucaristia, la legittimità del culto dei santi, il valore santificante delle buone opere, il carattere gerarchico della Chiesa, l’infallibilità del romano pontefice, la liceità delle indulgenze, e così via.
Ma come notato da molti storici e teologi, l’eresia sottile del XX secolo va ancora più in là. Essa è composita e complessa, e tende a negare ogni verità senza alcuna eccezione, per lo spirito di immanentismo e di relativismo che la anima. Lutero per esempio non aveva negato alcune verità di fondo del cristianesimo, come l’inerranza della Bibbia (ovvero l’assenza di ogni tipo di errore nel Testo Sacro), il fatto che Dio sia il Creatore e il Giudice universale, l’esistenza degli angeli, dell’inferno e del diavolo. Tanto per enumerarne alcune. L’eresia del Novecento, che fu condannata da san Pio X col nome di Modernismo (enciclica Pascendi, 1907), venne invece definita come la “sintesi di tutte le eresie”. Più che la negazione di questo o quell’articolo del Credo, il modernismo tendeva a cambiare la natura della fede, trasformandola da assenso razionale e motivato (sostenuto dalla grazia), a sentimento interiore, personalista e soggettivo. La fede nel modernismo divenne così a poco a poco, specie nell’ultimo mezzo secolo di storia, una fede senza Credo, senza dogmi fissi e immutabili, senza contorni e contenuti definiti e definitivi.
Contro questa tendenza di ampi settori del cattolicesimo verso l’immanentismo e il relativismo adogmatico, sono stati pubblicati vari documenti dal Magistero recente, come le ben note encicliche Veritatis splendor (1993), Evangelium vitae (1995), Fides et ratio (1998). Per non parlare dell’importante Catechismo della Chiesa cattolica (1992-1997) e della Dichiarazione Dominus Iesus (2000).
Anche oggi si è sentito il bisogno di contrastare alcune letture riduttive della religione che appaiono pericolose e inaccettabili.
Così, il 24 febbraio 2018, la Congregazione per la dottrina della fede, ha pubblicato la Lettera Placuit Deo (Piacque a Dio), approvata da Papa Francesco il 16 gennaio, riguardo ad alcuni aspetti – travisati e mistificati – della salvezza cristiana.
Come notato da molti, questo testo piuttosto breve servirà a fare chiarezza e a correggere la rotta di teologie avventurose e incoerenti che spadroneggiano impunemente nella cattolicità. Secondo Lorenzo Bertocchi, vaticanista su La Verità, “La lettera è stata presentata in conferenza stampa come approfondimento di un altro famoso documento, la Dominus Iesus, edita dall’ex Sant’Ufficio nel 2000 e firmata dall’allora cardinale Joseph Ratzinger” (La Verità, 2 marzo 2018, p. 12).
La Placuit Deo si compone di 6 brevi paragrafi e ha come logica di fondo quella di confutare 2 errori, pari e contrari, ma oggi più che diffusi nel pensiero comune dei battezzati. Questi 2 errori sono le ultime manifestazioni di 2 eresie antiche. Il testo, parla di “due tendenze (…) che assomigliano in taluni aspetti a due antiche eresie, il pelagianesimo e lo gnosticismo” (II, 3).
E già questo è molto interessante. Le eresie antiche, giustamente confutate e combattute dai Padri e dai Dottori della Chiesa, restano di attualità e la Chiesa del XX secolo non può che ribadire la loro condanna, come fece la Chiesa antica e medievale. La verità è immutabile e universale, che si tratti della verità matematica o della verità rivelata. L’errore tende a mutare, a cambiare pelle e a trasformarsi in base alle epoche, ai contesti e ai linguaggi usati. Ma mantiene anch’esso qualcosa di fisso, un nucleo essenziale che lo rende riconoscibile e quindi non-inevitabile. E la Chiesa, per la misericordia che deve avere verso tutti gli uomini (inclusi gli erranti), deve continuare a dire la verità e a confutare l’eresia.
Per la teologia accademica odierna non ci sono più eresie da combattere, e tutte le teologie vanno in qualche modo integrate nel dogma, esso stesso a geometria variabile, e riletto secondo le sensibilità e le dottrine delle varie chiese cristiane. Invece, “lo gnosticismo e il pelagianesimo rappresentano pericoli perenni di fraintendimento della fede biblica” (III, 2). Perenni, dunque sempre attuali.
Secondo la Lettera poi, “Il mondo contemporaneo avverte non senza difficoltà la confessione di fede cristiana, che proclama Gesù unico Salvatore di tutto l’uomo e dell’umanità intera (cf. At 4,12; Rom 3,23-24; 1 Tm 2,4-5; Tit 2,11-15). Da una parte, l’individualismo centrato sul soggetto autonomo tende a vedere l’uomo come essere la cui realizzazione dipende dalle sole sue forze” (n. II, 2). E già qui si mette il dito su una prima piaga della contemporaneità. L’uomo moderno e post-moderno, dubita di tutto, ma non della sua autonomia assoluta e sconfinata. Quindi, tende a fabbricare una morale autonoma (dalla Rivelazione), una politica laica (che ignora i principi del cristianesimo) e ad equiparare tutte le religioni, a prescindere dai contenuti. Cosa quest’ultima assurda e contraddittoria.
“Nei nostri tempi prolifera un neo-pelagianesimo per cui l’individuo, radicalmente autonomo, pretende di salvare sé stesso, senza riconoscere che egli dipende, nel più profondo del suo essere, da Dio e dagli altri. La salvezza si affida allora alle forze del singolo, oppure a delle strutture puramente umane” (II, 3). Si ripresenta cioè, sotto mentite spoglie, l’antropocentrismo assoluto dell’umanesimo dell’illuminismo, ed anche il mito del progresso storico, in cui l’uomo diventa misura di tutte le cose e unico artefice del suo destino. Questo è il primo grave errore di fondo condannato dalla Lettera.
Il secondo è in qualche modo opposto. Si tratta del neo-gnosticismo che, al pari dell’antica gnosi, disprezza la materia, la corporeità (anche di Cristo) e l’universalità del cristianesimo. E ciò in nome di una pseudo-spiritualità, elitaria ed esoterica, che sarebbe riservata solo agli iniziati e non al comune battezzato. Contro questa falsa gnosi, la Lettera insegna che “secondo la fede biblica, l’origine del male non si trova nel mondo materiale e corporeo, sperimentato come un limite o come una prigione dalla quale dovremmo essere salvati. Al contrario, la fede proclama che tutto il cosmo è buono, in quanto creato da Dio (cf. Gen 1,31; Sap 1,13-14; 1Tim 4,4), e che il male che più danneggia l’uomo è quello che procede dal suo cuore (cf. Mt 15,18-19; Gen 3,1-19)” (III, 7). E’ la ragione che pecca nel corpo, e infatti un corpo senza intelletto è incapace di peccato. L’anima quindi è superiore al corpo, ma la corporeità non è un male.
Se nel neo-pelagianesimo abbiamo una forma di materialismo implicito e di ottimismo malfondato (ognuno si salverebbe da sé), nel neo-gnosticismo si trova uno spiritualismo di sapore platonico e un pessimismo del tutto a-cattolico (si salvano solo pochi iniziati).
La Placuit Deo, ribadisce contro l’esegesi allegra degli ultimi decenni, che siamo tutti “figli di Adamo” (IV, 8). Il che significa che Adamo fu un essere umano e non un simbolo: i simboli non hanno figli infatti. E che Dio, è entrato nella storia umana, alleandosi “con tutti gli uomini in Noè (cf. Gen 9,9) e, più tardi, con Abramo e la sua discendenza (cf. Gen 15,18)” (IV, 8). Il che implica che Adamo, Noè ed Abramo sono storia, non leggenda o mitologia orientale…
D’altra parte, contro il relativismo si ricorda che solo “Gesù è illuminatore e rivelatore, redentore e liberatore, Colui che divinizza l’uomo e lo giustifica” (IV, 9). Non ci sono varie rivelazioni e molti rivelatori: una sola fede, un solo Signore e un solo battesimo.
Sia i neo-pelagiani che i neo-gnostici rifiutano la Chiesa, almeno nel suo aspetto visibile, gerarchico e giuridico. I primi perché credono che l’uomo sia autosufficiente e non abbia bisogno di altri uomini o dei 7 sacramenti per salvarsi. Da qui il crollo di sacramenti come la confessione. I secondi rifiutano la Chiesa visibile come materiale, essoterica, democratica. L’élite spirituale non avrebbe bisogno di realtà visibili, ma solo di misticismo e auto-trascendimento. E’ comune quindi alle due eresie, seppur per motivi opposti, “l’inconsistenza delle pretese di auto-salvezza” (V, 13).
Esattamente al contrario, il testo spiega che “la mediazione salvifica della Chiesa, «sacramento universale di salvezza», ci assicura che la salvezza non consiste nell’auto-realizzazione dell’individuo isolato” (V, 12). Ci si salva nella Chiesa e coi sacramenti amministrati dalla Chiesa.
La Conclusione del documento invita i cattolici a impegnarsi “per annunciare a tutti gli uomini la gioia e la luce del Vangelo” (VI, 15). L’auspicio all’evangelizzazione dell’intera umanità – senza alcuna eccezione – è necessariamente correlato con il dogma dell’unicità di Dio e di Cristo unico salvatore delle genti.
Fabrizio Cannone