Eutanasia, dal greco eu (ben) e thanatos (morte), vuol dire buona morte, morte indolore e procurata. Sono in molti a pensare con convinzione che l’uomo sia autore della propria vita in ogni sua fase, che possa decidere quindi come trascorrerla, rendendola quanto migliore possibile. Ne consegue che anche sul momento della morte si possa dire la propria e quindi farla finita, prima del previsto, in caso di patologie irreversibili.
Con tutto il rispetto per chi ha questa considerazione della vita e della morte, io davvero con capisco il punto di vista. Se non possiamo in alcun modo -e questo è certo- decidere quando e dove venire al mondo, perché dovremmo poter stabilire di lasciarlo?
Anche se qualcuno non credesse di essere stato creato dal Dio cristiano, se pensasse di essere stato generato da uno scontro casuale di cellule gametiche, scommetto che la maggior parte non riuscirebbe a gestire le circostanze o il dispiegarsi dei vari eventi dell’esistenza.
Mi basta questo per credere che Dio mi ha regalato la vita terrena per un po’ di tempo, perché io la renda al meglio, per ciò che è nelle mie possibilità e per le occasioni e le situazione che mi vengono offerte, affrontando le battaglie e le sofferenze conseguenti, finché un giorno la restituirò, spero più ricca di prima.
Qualche giorno fa è stato mandato in onda al telegiornale il drammatico e toccante video di Fabiano Antoniani, 39 anni, che, in seguito ad un incidente d’auto, il 13 giugno 2014, è divenuto tetraplegico e cieco. Il video spiega, con l’aiuto della fidanzata Valeria che non lo abbandona mai, le immagini spensierate di prima dell’incidente, la gioia di stare con amici e familiari, e poi la disperazione dei momenti attuali, in cui è costretto a rimanere immobile a letto, senza nessuna speranza umana di guarigione. Questo confronto, tra il prima e il poi, lo rende ancora più devastante.
Giorni fa l’Associazione radicale Luca Coscioni ha parlato sul “Corriere della Sera” della vicenda di Fabiano, che ora chiede al presidente Mattarella di poter essere libero di mettere fine alla sua vita.
Mi dispiace, mi dispiace enormemente per ciò che è accaduto a questo giovane uomo, del dolore che sconvolge la sua vita già da due lunghi anni, giorno, dopo giorno, per lo strazio cui sono sottoposti i suoi cari. Ciò che però mi spiace di più è che abbiamo perso la speranza, non tanto quella di un miracolo di guarigione, ma quella che considera la vita degna comunque di essere vissuta. Certamente io posso solo immaginare cosa stia provando Fabiano, sicuramente non ho voce in capitolo in questa vicenda, ma so per certo che alcuni sono nati menomati e mai hanno vissuto un solo giorno sereno o in salute, eppure si aggrappano alla vita con tutte le loro forze. Non la molleranno finché vita ci sarà. Vorrei che, nel rispetto di queste persone, la Commissione Affari sociali della Camera, che esaminerà 290 emendamenti (che hanno superato la selezione a norma di regolamento), riguardanti varie definizioni sulla possibilità di introdurre l’eutanasia nel nostro paese, non dimenticasse che un uomo non è Dio, anche se può sentirsi talvolta immortale, che l’uomo e il suo valore prescindono dallo stare in forma e poter fare tutto ciò che si desidera.
Il dibattito in aula avverrà il 30 gennaio, ma lo stesso presidente della Commissione, Mario Marazziti, nutre molti timori, perlomeno in merito ai tempi a disposizione: “Chiederò alla presidenza della Camera un margine di altre due o tre settimane. Quello cui siamo approdati dopo 19 sedute, 47 audizioni e 9 comitati ristretti è un testo base su cui lavorare e nel quale ad esempio il termine “disposizioni anticipate” andrà sostituito con “dichiarazioni”. Credo sia possibile trovare un buon compromesso. Per questo nella selezione degli emendamenti ho seguito un criterio largo.”. Gian Luigi Gigli, deputato esperto di biogenetica, esprime al contempo perplessità su come il percorso di legge sia stato presentato, prevedendo che il provvedimento “sta per introdurre in Italia l’eutanasia in forma omissiva, senza peraltro avere il coraggio di chiamare con questo nome la sospensione di idratazione e nutrizione finalizzata ad affrettare la morte del paziente, anche al di fuori di condizioni di tipo terminale e di sofferenza incontrollabile, anche su minori, disabili e incapaci”.
E’ una possibilità che mi spaventa, dico la verità, che mira a deprezzare la vita, se la qualità scarseggia.