Creare embrioni e gameti artificiali, un progetto non solo inquietante ma sempre meno fantascientifico e sul quale ci sono importanti investimenti.
Una società biotecnologica annuncia di aver creato embrioni umani artificiali a partire da cellule staminali.
Creare artificialmente la vita: un sogno allucinato, da apprendisti stregoni, che attraversa la storia, da Simon Mago – al quale si attribuisce la creazione di un uomo dall’aria – all’homunculus di Paracelso, fino ai maghi rinascimentali.
Anche la letteratura abbonda di fantasie come queste. Non serve che pensare al Golem della tradizione ebraica o al classico Frankenstein di Mary Shelley.
L’idolo della “ricerca”
Ma indubbiamente coloro che hanno fatto passi da gigante sulla via della creazione della vita artificiale sono gli “esperti moderni”. Il successo della figura dell’esperto – letteralmente esplosa nei palinsesti televisivi in pandemia – è un segnale da non sottovalutare.
Salvo lodevoli eccezioni l’esperto si presenta come “ricercatore”, non come “pensatore” che riflette sul rapporto tra le innovazioni tecnoscientifiche e la vita umana. Interrogarsi troppo su quella che fin dall’Antichità si chiama “vita buona” è perciò attività inconsueta per il “ricercatore”. O meglio: è data per scontata. Si da già per acquisito che le innovazioni frutto della “ricerca” siano un progresso per l’umanità. Scontato dunque che siano un bene per la vita umana. Ma di scontato qui non c’è nulla.
Che ogni innovazione della ricerca abbia ricadute non necessariamente positive sulla dignità della persona umana, sulla vita politica e sociale, sul costume, sui diritti delle persone (e, perché no?, anche sulle loro tasche) che vanno ben al di là del ristretto orizzonte specialistico del ricercatore (esperto del suo campo ma che in tutti gli altri può essere un perfetto ignorante) appare, questo sì, evidente. E non può essere messo tra parentesi come se nulla fosse. Ma anche qui vige il “divieto di fare domande” tipico delle ideologie totalitarie. Chi osa obiettare qualcosa è regolarmente demonizzato e relegato tra gli “arretrati” e i “medievali”.
Embrioni sintetici come cave di organi
Già qualche settimana fa era circolata la notizia che un’azienda israeliana di biotecnologie, la Renewal Bio, che ha annunciato la creazione di embrioni umani artificiali (simili al 95% a quelli naturali) a partire da cellule staminali. Lo scopo sarebbe quello di prelevare ed impiantare in pazienti malati organi e tessuti in formazione. La tecnologia permetterebbe dunque di allungare l’aspettativa di vita delle persone, la loro fertilità o ancora di ringiovanire il sistema immunitario, ecc.
«L’embrione è la migliore macchina per la produzione di organi e la migliore biostampante 3D: vogliamo semplicemente emulare ciò che fa la natura». Sembrano pensieri e parole usciti da qualche film distopico. Magari da Matrix, dove Morpheus spiega a un allibito Neo: «Ci sono campi, campi sterminati, dove gli uomini non nascono, vengono coltivati». Oppure da The Island, film del 2005 dove cloni di esseri umani vengono a loro volta “coltivati” come riserve di organi da trapiantare, in caso di necessità, ai loro “padroni” originari.
Dal simil-embrione di topo a quello umano
E invece no: sono parole del ricercatore (c’erano forse dubbi?) Jacob Hanna, un tempo professore di biologia delle cellule staminali presso il Dipartimento di genetica molecolare del Weizmann Institute of Science in Israele. Adesso Hanna è passato a Renewal Bio, dove aspira ad applicare all’uomo il progetto messo a punto al Weizmann. Ad agosto Hanna aveva dato notizia di sulla rivista «Cell», di aver creato simil-embrioni di topo, ottenuti in laboratorio senza fecondazione ma attraverso la manipolazione di cellule staminali embrionali fatte poi sviluppare all’interno di una specie di ‘utero meccanico’.
Ora il progetto è quello di applicare questa tecnologia anche all’uomo, creando simil-embrioni umani. Il tutto naturalmente in nome del benessere dell’umanità (sul sito la compagnia biotecnologica parla di «rendere l’umanità più giovane e più sana») e, va da sé, del business (sono in gioco investimenti importanti).
Un progetto non nuovo
Non si tratta di novità assoluta. Come riferisce Assuntina Morresi su «Avvenire», già nel 2017 un gruppo di ricerca dell’Università di Cambridge (Regno Unito), guidato da Magdalena Zernicka-Goetz, aveva creato un ‘embrione sintetico’ di topo combinando cellule staminali embrionali, sempre di topo. E proprio ad agosto di quest’anno lo stesso gruppo di ricerca ha reso noto di aver ripetuto. l’esperimento. Con risultati notevoli: l’embrione sintetico per otto e giorni e mezzo si è sviluppato autonomamente, senza sollecitazioni esterne, arrivano a formare parti di cervello, un accenno di sistema nervoso, di cuore e di intestino.
A risultati analoghi (la creazione di proto-organi) sembra essere giunto anche il gruppo di Renewal Bio, con un cuore pulsante, ovvero la circolazione sanguigna, parte di intestino, un abbozzo di cervello.
Creare gameti dalla pelle
Ricerche che danno le vertigini e che sono dunque già a un livello avanzato, sull’animale e sull’umano. E non sono le uniche: da tempo si studia come arrivare ai gameti artificiali, ovvero cellule riproduttrici, ovociti o spermatozoidi, ottenuti in laboratorio. Come con la tecnologia delle cellule cosiddette iPS (cellule staminali pluripotenti indotte) valsa un premio Nobel al suo scopritore, con la quale si “forzano” le cellule della pelle a risalire il tempo facendole diventare cellule staminali e portandole poi a differenziarsi in gameti. In questo modo si può non soltanto fabbricare un ovocita ma anche uno spermatozoo a partire da una cellula di pelle qualsiasi. Anche di una donna.
Inutile dire che se queste tecnologie si dimostrassero efficaci si aprirebbe qualunque genere di scenario: la procreazione a partire da un capello, tra coppie dello stesso sesso, l’autoprocreazione.
Vera e falsa scienza
Qualcuno dirà che è il Progresso, l’Innovazione… Rigorosamente con la maiuscola, neanche a dirlo. Perché, come ha detto il grande vescovo americano (nonché futuro Beato) Fulton Sheen, «se esiste un idolo che il pensiero moderno ama fino all’adorazione è l’idolo del progresso». La scienza studia come va il cielo: ci dà una migliore conoscenza dei fatti, delle cause secondarie. Cosa lodevole. Ma quando la scienza pretende di “salvare” l’uomo dalla morte e creare la vita diventa qualcosa di diverso. Prende a sua volta la maiuscola e diventa “la” Scienza: una specie di religione, un idolo.
È il frutto, avverte ancora Fulton Sheen, del progressismo. Il progressismo è il progresso-ideologia, il progresso fatto idolo. Ma, insiste il grande predicatore, «il migliore progresso umano ristagna nel vago, se non ha davanti a sé uno scopo preciso da raggiungere. Per questo ci vuole un valore d’arrivo ben chiaro col quale misurare il progresso. Altrimenti non si sa mai se c’è avanzamento o involuzione». E ancora: «la scienza è possibile soltanto in una cultura abituata a vedere la materia al servizio dl più nobile ideale, la santificazione delle anime».
L’ideologia della macchina vivente
Al contrario, alla base di tutti questi progetti c’è quella che il matematico Giorgio Israel ha definito l’«ideologia della macchina vivente», per la quale l’uomo è niente altro che materia (ovvero materiale da trasformare a piacimento) senza alcuna finalità o scopo.
Ma se l’uomo è unicamente un insieme di organi che si muove (non si sa bene dove né perché) di che stupirsi se qualcuno vi vede solo una serie di pezzi di ricambio per “macchine viventi” più ricche, sapienti e potenti?
È l’inevitabile conseguenza dell’unione tra la scienza e il materialismo meccanicistico: la materia viene messa al servizio degli interessi più bassi dell’essere umano: il delirio di onnipotenza, la brama di profitto, ecc.
Quella dell’uomo-macchina è una vita letteralmente senza senso. Per dirla con le parole di Bernanos: «Ma a che vi servirà fabbricare la vita stessa se avete perduto il senso della vita?».