Nel contesto attuale di crescente solitudine interiore, è sempre più importante non solo indagare su questo senso diffuso e le sue cause.
Ma in particolare cercare delle soluzioni, che possono non essere così scontate o necessariamente quelle che il mondo propone.
Innanzitutto, alcune dinamiche sociali, come quella dell’apparenza e dell’apparire, creano anche a livello psicologico una grave discrepanza tra come realmente si è o “ci si sente”, e quello che invece di “deve” dimostrare all’esterno, che sia sui social, sull’ambiente di lavoro e in generale nelle relazioni, familiari o amicali.
Nonostante al giorno d’oggi ci sia un bisogno esagerato di comunicare i propri sentimenti e le proprie sensazioni all’esterno (bisogno creato dalle dinamiche social e del mercato degli stessi, che portano a comunicare a sproposito informazioni su di sé, da quelle più semplici, fino ai sentimenti più profondi), tutto questo non porta che a inflazionare e quindi a banalizzare l’interiorità personale, che viene in un certo senso svuotata di significato, commercializzata.
Qual è l’antidoto alla tristezza?
Ma il problema non è tanto l’utilizzo o meno “dei social”, che ormai sono entrati a far parte dell’uso comune e quindi da poter sfruttare per convogliare messaggi positivi e nel modo migliore.
Si tratta piuttosto di una “mancanza” che ormai è di vecchia data, che non è più di moda, cioè la “mancanza di Dio”. Un giovane, oggi, non può più nemmeno percepire questo vuoto: non ha la possibilità di individuarlo. Nessuno che non abbia conosciuto l’amore di Dio potrà mai dire: “Mi sento male, oggi mi manca Dio, vado a cercarlo“!
Il senso di Dio, della sua presenza, come della sua mancanza, è qualcosa di cui si stanno sempre più perdendo le tracce, e molti di noi giovani non conoscono e forse – e questo è triste – nella loro vita, non conosceranno mai il suo amore!
Questo perché? Non solo perché il mondo lo rifiuta, come ci ha detto Gesù, e impedisce, rifiutandolo, che altri lo conoscono, ma perché anche tra chi lo conosce o dice di farlo, non riesce ad esserci un giusto “passaparola”, e una testimonianza, oltre che coerente e seria, anche senza paura.
Il mondo purtroppo sta soffocando il senso di Dio. Lo sta sempre più relegando a qualcosa di scomodo, di fuori moda, di “nicchia”: non è così! Dio è gioia, amore e comunione. Solo in Dio, che è in sintesi l’amore stesso, può esserci la felicità che troppo viene cercata nelle “cose” o nelle persone.
Un segreto nascosto
Non possiamo attingere all’acqua se prima non andiamo alla fonte. Non possiamo lasciar passare per acqua limpida tutto quello che sembra tale: dobbiamo indagare, non dobbiamo smettere di cercare.
Il senso di solitudine, inoltre, è spesso causato dal fatto che non ci sentiamo a posto con la nostra coscienza e con quello che siamo, ma anche è causato dalle ferite della nostra anima che ci sono state inferte o che ci siamo procurati!
Quando ci sentiamo così, soli, malandati, difettosi, non ci viene da avvicinarci, ci vergogniamo, ci chiudiamo. Dio è la risposta a tutte le nostre domande: il suo Santo Spirito può davvero colmare le nostre lacune e fasciare le nostre ferite, solo lui può farlo.
Questo segreto, il segreto della felicità, è stato tenuto nascosto per troppo tempo. È ora che venga “urlato sui tetti” (cfr. Mt 10,27), che venga detto a tutti! E allora, se Dio libera, se Dio guarisce, rifiorisce anche la ferita insanabile dell’uomo, quella della solitudine.
Come incontrare Dio?
Lo si incontra coltivando il rapporto con Lui. In primis nella preghiera, il mezzo più semplice ed efficace per averlo vicino, per guardare verso di Lui, per sentirci amati ascoltati e per amarlo e ascoltarlo a nostra volta. Ma la preghiera non deve escludere i Sacramenti, che sono il modo che diamo a Dio di essere Lui in noi, e di manifestargli tutto il desiderio che abbiamo di stare con Lui e con gli altri, sia nel contesto della Chiesa, che è in un certo senso la “famiglia di Dio” dove tutti ci sentiamo veramente fratelli, di un bel gruppo di preghiera, ma anche con tutti quelli che Dio ci mette vicino.
La comunione con gli altri e con Dio colma il nostro vuoto
Allora stare con gli altri, tutti, sarà un dono reciproco in cui rinasce la carità e non l’arrivismo, la gioia di stare insieme, il dono di sé. Allora l’altro è una meraviglia da custodire e non una “cosa” di cui ho bisogno: il mio bisogno sarà quello di essere dono a mia volta, nel rispetto, nella gioia.
Riscoprire il senso di Dio è qualcosa che manca, ma è qualcosa che potrà rinascere se chiameremo con nome e cognome il grande dolore che affligge i nostri tempi: la “nostalgia di Dio”, la nostalgia di quel qualcosa che sembra perso, lontano, indefinitamente inarrivabile, e che invece è più vivo e presente che mai. Potremo trovarlo sì, dentro di noi e negli altri, ma prima dovremo saperlo chiamare, e quindi, desiderare.