Amare disinteressatamente è molto difficile, ma forse il sentimento di questo padre per la propria bambina, venuta al mondo tutt’altro che sana, può darci un’idea di quanto grande possa essere quella forza: immensa, tanto da contrastare ogni progetto di fine vita o di aborto.
“Mia figlia è nata con il timer. Sì è vero, tutti siamo a timer, ma a lei sono state date poche cariche. Abbandonata in ospedale, perché la sua microcefalia faceva paura, sapendo che avrebbe imposto sacrifici ingestibili e notti in bianco a misurare la temperatura o ad arrestare le crisi epilettiche con il valium rettale, l’abbiamo riconosciuta, prima ancora di incontrarla, dal pianto stridulo e insistente che dominava nella terapia intensiva neonatale”.
Ma tutta quella sofferenza non ha placato l’affetto, anzi lo ha diretto verso quella creatura indifesa, minuscola per le condizioni in cui era nata, tanto da potersi tenere sul palmo in una mano.
I suoi genitori si avvicinavano timorosi al lettino, per vedere quale fosse la creatura che erano chiamati ad accudire: “Abbiamo visto una meraviglia della natura, un vero capolavoro di perfezione che mai avremmo potuto scorgere, se avessimo preteso di conoscerla senza amarla a priori. Una debolezza sconvolgente, adagiata nella culla provvisoria e asettica di una terapia intensiva. Una carne viva e fragile, che trasudava tenerezza ineffabile, appellandosi non solo alla mia fede, non solo alla mia bontà d’animo, ma più veementemente alla mia umanità”.
E, da quel momento, mamma e papà non hanno potuto fare a meno di amare quella bambina, nonostante quel timer scandisse le sue ore, i suoi minuti, senza mai far pensare, però, ad un trattamento di fine vita.
“Quante teorie ben argomentate e pensieri geniali sono stati sfoderati, negli ultimi mesi, sul tema del fine vita; quanta accademia sulla pelle debilitata di creature imperfette, già pronte al dialogo ultimo della loro esistenza, protese a scrutare le cose nuove, che già attendono non appena sarà espirato l’ultimo soffio! Ma rabbrividisco a così tanta distanza della politica e degli intellettuali dalla carne viva degli scarti della società. Non c’è politica, se manca la condivisione con gli ultimi. Non c’è cultura, che non sappia sporcarsi la camicia con il sudore dei poveri”.
L’eutanasia, come l’aborto sono pratiche inconciliabili con questi sentimenti genitoriali (con qualunque sentimento umano, in realtà), ma concepibili da molte lobby e programmi di partito.
Questo padre attento e premuroso sembra poterci spiegare il perché di quell’ostinato accanimento verso i più deboli: “C’è qualcuno che vorrebbe fare a meno della debolezza, come se la nostra vita potesse essere più civile e dignitosa, al prezzo di diventare più perfetta. (…) Ma non c’è imperfezione nella natura di quella vita piccolissima, nata con il timer di un pugno di giorni, pur con l’interminabile elenco delle imperfezioni cliniche. La sua vita è perfetta, perché capace di essere amata, capace di convertire anche i cuori più duri (…).
La debolezza è necessaria. Non potremmo parlare di umanità, se la debolezza umana fosse solo un batterio da abbattere o un errore della natura. (…) Senza debolezza siamo inumani”.
E pure Dio, l’Onnipotente, ha mostrato a noi la sua parte debole, quella che, proprio in questi giorni, ricordiamo e veneriamo, quella che, attraverso il suo Figlio unigenito, ci ha mostrato la fragilità dell’uomo oltraggiato da insulti e sputi, crocifisso, ma salvo dal peccato e pronto alla vita eterna.
“Così, di fronte alla mia bambina, abbandonata su una culla provvisoria e che ora, invece, riposa nel suo lettino a fianco al nostro lettone, mentre ancora stringo le dita della mia sposa, riconosco che la sua miseria trova vita solo nella mia misericordia … ma vi confesso che spesso sono certo di assistere ad un’inversione di parti: io sono la miseria e il suo piccolo cuore la Misericordia”.
Antonella Sanicanti