Nelle Marche, un uomo ha lottato per undici anni contro una malattia gravissima. Il suo caso è stato oggetto di forti discussioni e di polemiche politiche. Poi, la svolta scioccante.
La sua vicenda aveva destato commozione, meraviglia e apprensione tra gli italiani. Ora la sua morte segna un drammatico spartiacque nell’antropologia del Paese.
Caso strumentalizzato politicamente
Si chiamava Federico Carboni ma per qualche mese il suo nome pubblico è stato quello di “Mario”. La sua identità è stata svelata soltanto in prossimità del decesso. 44 anni, di Senigaglia, Carboni era tetraplegico da 11 anni, a seguito di un incidente stradale.
La sua richiesta di morire aveva dato corso a un contenzioso legale con la Regione Marche, che si era sostanzialmente opposta. A correre in suo “soccorso” è stata, come in altri casi simili, l’associazione “Luca Coscioni”, che gli ha fornito assistenza legale, usando la sua vicenda come ennesima bandiera mediatica a favore della “dolce morte”.
Proprio quando è in corso in Parlamento il dibattito per la legalizzazione del suicidio assistito, è arrivata la notizia della morte di Federico Carboni. L’uomo è spirato ieri mattina, alle 11.05, dopo la somministrazione di un farmaco letale.
Prima ancora dell’approvazione del disegno di legge sulla “morte medicalmente assistita” (passata alla Camera ma ancora in discussione al Senato), ci troviamo, quindi, davanti al primo caso di suicidio assistito “de facto”. Una coincidenza inquietante, che, lascia molto pensare e che, probabilmente, accelererà l’iter legislativo.
A supervisionare il tragico protocollo di morte per Carboni è stato Mario Riccio, l’anestesista salito agli onori delle cronache nel 2006, quando si occupò di distaccare i supporti vitali a Piergiorgio Welby, protagonista del primo vero caso di eutanasia in Italia.
La vicenda di Federico Carboni, tuttavia, è molto diversa da quella di Welby e anche da quella di Eluana Englaro, i quali furono lasciati morire per abbandono terapeutico o per sospensione di idratazione e cibo. Carboni è stato invece direttamente ucciso tramite avvelenamento. La sua morte, dunque, rappresenta una brusca svolta nelle procedure eutanasiche in Italia.
Protocolli assenti, morte al di là della legge
Il caso giudiziario di Federico Carboni è piuttosto complesso. Il Comitato etico regionale delle Marche gli aveva riconosciuto il ricorso alla morte medicalmente assistita, sulla base della sentenza n°242/2019 della Corte Costituzionale, pronunciatasi, in quell’occasione sul caso Cappato/DJ Fabo.
Nei fatti, però, il Comitato regionale non aveva potuto autorizzare la “morte assistita”, in mancanza di una legge che ne disciplinasse procedure e protocolli, in base ai mezzi previsti dal sistema sanitario nazionale.
Di conseguenza, la morte di Carboni è avvenuta al di fuori della legge e della giurisprudenza costituzionale, secondo criteri assolutamente privatistici.
Lo stesso macchinario che ha procurato la morte del paziente, somministrando il farmaco letale è stato acquistato per 5000 euro, tramite una raccolta fondi promossa dall’associazione “Luca Coscioni”.
“Libero di volare dove voglio”
Poco prima di morire, Federico Carboni ha diffuso il seguente messaggio: “Non nego che mi dispiace congedarmi dalla vita, sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così. Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere il meglio possibile e cercare di recuperare il massimo dalla mia disabilità, ma ormai sono allo stremo sia mentale sia fisico”.
“Non ho un minimo di autonomia della vita quotidiana – prosegue Carboni – sono in balìa degli eventi, dipendo dagli altri su tutto, sono come una barca alla deriva nell’oceano. Sono consapevole delle mie condizioni fisiche e delle prospettive future, quindi, sono totalmente sereno e tranquillo di quanto farò”.
Lo sfortunato paziente conclude affermando che, assieme all’associazione Luca Coscioni, “abbiamo fatto giurisprudenza e un pezzetto di storia nel nostro paese” e ora “sono orgoglioso e onorato di essere stato al vostro fianco. Ora finalmente sono libero di volare dove voglio”.
Abbiamo davvero fatto il possibile per lui?
Le ultime parole di Federico Carboni sono drammatiche e suscitano raccapriccio, non tanto per il desiderio in sé di porre fine alle proprie sofferenze. Un dolore fisico così estremo può generare, in modo naturale, pensieri mortiferi e impulsi suicidi. Una tale disposizione dell’animo è degna di rispetto e compassione e non va mai giudicata.
La frase che desta più sconcerto, in realtà, è: “purtroppo è andata così”. Il grido di ogni malato che desidera la morte è, in realtà, una richiesta di aiuto, un bisogno d’affetto inesprimibile, a cui non vale la pena rispondere assecondando quella richiesta di morte.
La scienza può fare molto per migliorare la condizioni di vita dei malati gravissimi. Esiste già, inoltre, una normativa sulle cure palliative (la legge 38/2010) che, al momento, è rimasta per lo più inapplicata.
Se davvero fosse stato fatto “tutto il possibile” per alleviare le sue sofferenze, se avesse ricevuto una vera solidarietà comunitaria e delle cure migliori, se la sua storia non fosse stata strumentalizzata per scopi politici e ideologici, forse Federico Carboni sarebbe ancora tra noi.