Vedere il volto del Signore è un bisogno rimasto nel cuore dell’uomo fin dalla cacciata dell’Eden, assumendo la forma di povertà che va accolta e nutrita.
Padre Cesare Falletti è il fondatore del monastero cistercense di Pra ’d Mill, che si trova nelle montagne sopra Bagnolo Piemonte, ha raccontato la sua esperienza di monaco al quotidiano dei vescovi Avvenire.
Il monastero è stato costruito intorno agli anni novanta, al di sopra di un terreno che è stato consegnato loro dalla serva di Dio Leletta d’Isola. Il desideri della donna era infatti quello di fare sorgere una comunità monastica giusto sopra le terre di famiglia. I cistercensi si interessarono al monastero, così il sogno iniziò a prendere forma. E i monaci si insediarono in maniera definitiva nel 1995.
L’invocazione del salmista, “mostrami Signore il tuo volto”, per un monaco assume una dimensione personale, che riporta alla presenza del Signore che si concretizza nel suo volto. Proprio come Mosè, che aveva bisogno della presenza del Signore per poter proseguire il suo cammino.
L’uomo infatti, come spiegava anche Ratzinger, è sfidato costantemente a vivere “come se Lui ci fosse”. Non può accederne a una sua esperienza fisica, ma nella fede è richiesta fiducia a riguardo della sua presenza. E del fatto che il Signore non abbandona mai i suoi figli.
In questo contesto, amare il prossimo non rappresenta solamente una sfida sociale, o un dovere morale. Al contrario, ciò incarna la realizzazione concreta di un brano evangelico. Vale a dire, “un incontro continuo col volto di Dio senza poterlo vedere, che sono in presenza di Dio che è il mio tutto”, spiega il monaco.
L’invocazione del salmista diventa così qualcosa di contiguo a un grido quasi doloroso, disperato. Il grido di un povero che desidera vedere il volto del Signore perché ha bisogno di rivolgersi a Lui dandogli del tu. Proprio come accade con qualsiasi altra persona che ha a che fare con la propria vita.
“Nella nostra vita chiediamo alle persone che incontriamo: parlami di te, fatti vedere, raccontami chi sei. È la povertà di chi ha bisogno dell’altro. Chiedere a Dio di mostrarmi il suo volto vuol dire: fatti conoscere, entra nella mia vita“, spiega il monaco.
Così come le persone che si incontrano nella propria esperienza di vita, quindi, anche il Signore chiede di cercare il suo volto. Ci invita cioè a fare il bene, a renderci disponibili affinché possa entrare nella nostra vita. “Lui, da Adamo in poi, continua a dirci: cercami, fidati… Poi lo vedremo davvero solo oltre la morte, quando, ci garantisce 1Gv 3,2, lo vedremo così come egli è”.
In questo modo l’Emmanuele diventa realtà. Il Dio con noi, il Verbo che si è fatto carne, non ha mai negato la sua presenza all’uomo. Una presenza che trova attuazione nell’atto di fede, che chiede di essere vivo e rinnovato continuamente. L’uomo infatti non possiede la presenza di Cristo, e in ciò è continuamente chiamato a cercarla.
“Tutta la storia di Pra ‘d Mill, per esempio, è stata un continuo dire: sì, Dio ci chiede proprio questo. Ma è servito un forte affidamento“, racconta il monaco. “La fede è saper dire: Dio è con me. La cosa basica è l’Emmanuele cioè il Dio con noi. Poi Dio un volto ce lo ha dato davvero. Ma anche qui per ammetterlo è necessario un salto di fede, perché potremmo dire: “Non sei tu il figlio del falegname?” (Mt 13,55)”.
Proprio nel Vangelo, infatti, la Parola di Dio trova il suo apice. Ma questa ha bisogno di trovare un suo percorso nella vita, in modo che l’invito del Padre diventa anche pedagogia. Più si cresce nella fede più il volto di Dio si mostra all’uomo.
“La porta chiusa del Paradiso terrestre è proprio nel fatto che non lo vediamo più faccia a faccia. Ci è rimasto questo desiderio dentro”, conclude quindi il monaco. Spiegando che la richiesta del Signore di cercare il suo volto diventa risposta a un bisogno primordiale insito nel cuore dell’uomo.
“Qual è l’uomo che non cerca la felicità, si chiede il Salmo 33. San Benedetto ci costruisce la Regola intorno, consapevole che la ricerca del Volto è la strada dell’essere se stessi. Per questo il sentirsene bisognosi la chiamo la nostra povertà. Una povertà che va vissuta se vogliamo crescere nella felicità“.
Giovanni Bernardi
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