Degli hacker cinesi avrebbero violato, negli ultimi tre mesi, le reti informatiche del Vaticano. Una semplice lettera ha permesso tutto questo.
Le intrusioni sarebbero cominciate all’inizio di maggio. Il tutto è partito da un file “trappola”, in cui è stato riprodotto un documento ufficiale della Santa Sede. Che portava il nome del sostituto della Segreteria di Stato della Santa Sede, l’arcivescovo venezuelano Edgar Peña Parra.
Nella mail, indirizzata a Monsignor Javier Corona Herrera, prelato molto attivo nei negoziati con Pechino, veniva presentato un messaggio del segretario di Stato Vaticano, il cardinale Pietro Parolin. Grande amico della Cina e difensore dell’accordo vaticano osteggiato invece da ambienti più intransigenti.
Non si capisce ancora se la lettera sia stata a tutti gli effetti falsificata, oppure se si trattasse di un documento reale a cui gli hacker sono riusciti ad accedere. E che hanno poi in seguito utilizzato come esca. Collegandolo cioè a un virus malware. Ovvero a un software di spionaggio con il quale accedere ai pc della chiesa di Hong Kong e infine ai server di posta del Vaticano.
Gli attacchi, secondo quanto viene affermato dagli esperti di Recorded Future, una società di sicurezza informatica specializzata che ha sede a Somerville, in Massachusetts, che ha realizzato l’inchiesta, sono stati messi a segno con modalità simili a quelle usate dagli stessi pirati informatici che avrebbero provato ad introdursi nei server di altri gruppi.
Tibetani buddisti, uiguri musulmani e praticanti del Falun Gong oltre i confini cinesi. Hacker, quindi, accusati di essere finanziati direttamente dal governo di Pechino. Il gruppo è stato identificato con il nome di RedDelta.
La notizia però che lo spionaggi avviene ai danni della Santa Sede diventa un caso unico. Anche se in passato si era già parlato di dossier internazionali di spionaggio su cardinali, rinominati Red Hat Report, che sarebbero partiti in quel caso da gruppi conservatori americani. Il gruppo di esperti americani afferma che le intrusioni informatiche sono cominciate all’inizio di maggio.
Il messaggio recitava un messaggio di cordoglio da parte di Parolin per la morte di un vescovo cinese. Indirizzato alla Holy See Study Mission di Hong Kong, considerata una delle missioni più strategiche del Vaticano nel mondo. In quanto funge da collegamento con le diocesi cattoliche situata in tutte le trentatrè province della Repubblica popolare cinese.
L’infiltrazione sarebbe perciò avvenuta proprio nel bel mezzo della trattativa tra Santa Sede e Cina, per il rinnovo dell’accordo sulle nomine dei vescovi. Di cui di fatto ancora non si conoscono i termini, rimasti perlopiù segreti per volere del governo cinese.
Lo scoop, riportato in anticipo dal New York Times e oggi pubblicato sul sito Recorded Future, accende così la luce sui delicati rapporti tra Cina e Santa sede. A settembre infatti si pensa che dovrebbero partire nuovi colloqui per accordarsi sulle norme relative alle nomine dei vescovi in Cina, e sullo status dei luoghi di culto nel Paese. Al fine di aggiornare l’accordo provvisorio del 2018.
L’articolo è firmato da tre giornalisti di punta del quotidiano statunitense, Sanger, Wong e Horowitz. Quindi viene dato massimo risalto all’inchiesta. Il rapporto dell’associazione è però di fatto anche un rapporto “molto politico”, come sottolinea anche il Corriere della Sera. In questo viene dettagliatamente ripercorso tutto il filo rosso dei rapporti tra Vaticano e Cina.
Rapporti che sfoceranno, nel prossimo autunno, nella seconda fase del negoziato per l’accordo sulla presenza dei cattolici nel paese. Accordo per il quale Papa Francesco si è speso molto personalmente, parlandone come di uno dei grandi obiettivi del suo Pontificato.
L’ipotesi più accreditata è che, visto che a settembre scadranno i termini dell’accordo provvisorio, questo venga prolungato di un altro anno. Viste anche le difficoltà di incontrarsi dovute al coronavirus. La decisione dovrà tuttavia essere presa in maniera bilaterale, da entrambe le parti in causa.
Tuttavia, c’è anche da specificare che la rivelazione del gruppo di esperti informatici si presenta anche in un momento di massimo avversione tra Washington e Pechino. Di recente infatti l’Fbi ha denunciato in maniera pubblica l’aggressività che lo spionaggio cinese starebbe portando avanti nei confronti degli Stati Uniti.
Di conseguenza, i rapporti tra Santa Sede e Cina non sono affatto ben visti dalla diplomazia a stelle e strisce. Specialmente per via della campagna del Segretario di Stato Mike Pompeo al “mondo libero” affinché si faccia fronte contro la Cina.
Il New York Times tuttavia sottolinea che “non ci sono indicazioni che l’amministrazione Trump sia coinvolta nel rapporto privato sui cyberattacchi al Vaticano”.
Giovanni Bernardi
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