In queste settimane stanno andando in onda in tutto il pianeta duri scontri, di natura politica, economica e geo-strategica, legati alla produzione di vaccini.
Si tratta di una vera e propria guerra commerciale, per un bene pubblico globale che andrebbe considerato tale di fronte a una pandemia che ha già mietuto quasi un milione di vittime e che interessa l’intero pianeta.
Negli Stati Uniti, Donald Trump e il suo avversario Joe Biden si sono più volte amaramente scontrati, nel corso della campagna elettorale per le prossime presidenziali, sul tema dei vaccini. Nel frattempo, in Cina pare che su undici vaccini “candidati” già tre sono arrivati alla fase finale, la terza, come ha spiegato nei giorni scorsi il ministro della Scienza e della Tecnologia cinese Wang Zhigang.
In tutto il mondo, su un totale di 92 vaccini in fase pre-clinica e 40 già passati alla fase di sperimentazione sull’uomo, solo nove sono arrivati alla terza fase, quella in cui vengono testati su migliaia di volontari. Gli esperti parlano di un tempo necessario tra i dodici e i diciotto mesi per arrivare alla fase finale. Tra i Paesi che sono in testa nella produzione, ci sono Cina, Russia, Stati Uniti e Gran Bretagna.
Anche il vaccino sperimentato ad Oxford ha ripreso la sua sperimentazione, dopo l’interruzione dovuta agli effetti indesiderati verificati su uno dei volontari. Nel frattempo metà della futura fornitura mondiale è stata pre-acquistata da un ristretto gruppo di Paesi ricchi. Che corrispondono a malapena al tredici per cento della popolazione mondiale.
Il tutto nella consapevolezza che le aziende produttrici non produrranno mai abbastanza vaccini per le necessità dell’intero pianeta per la semplice ragione che non ne hanno la capacità. Nel caso più fortunato in cui tutti e cinque i candidati vaccini dovessero arrivare al termine della loro sperimentazione, almeno il 60 per cento della popolazione mondiale non ne avrà mai accesso, almeno fino al 2022.
Associazioni come Oxfam hanno denunciato a gran voce questo scandalo. Secondo i dati di Airfinity, inoltre, alcuni Paesi avrebbero già firmato stringenti accordi con le case farmaceutiche produttrici dei cinque vaccini considerati più “promettenti”. Ma già è certo che alcune delle sperimentazioni in corso falliranno prima della loro conclusione.
Così ancora più persone resteranno escluse dalla possibilità di accedervi. “I dati disponibili rivelano un sistema profondamente ingiusto e disuguale, che non è stato corretto e che mira a proteggere monopoli e profitti delle case farmaceutiche piuttosto che garantire a tutti, tempestivamente, lo strumento principale per debellare la pandemia”, ha così affermato Sara Albiani, policy advisor per la salute globale di Oxfam Italia.
Nel frattempo, nessun Stato o organismo internazionale si è mia posto il problema di porre alle case farmaceutiche condizioni in cui è per loro impossibile perseguire massici e ingiustificati profitti con il commercio dei vaccini, in un momento in cui la loro produzione soddisfa un fabbisogno causato da un’emergenza sanitaria pandemica, cioè globale.
Giusto per fare un esempio, l’azienda statunitense di biotecnologie Moderna per lo sviluppo di un vaccino ha incassato 2,48 miliardi di dollari di fondi pubblici. In cambio si per caso è chiesta un’assunzione di responsabilità sociale nella commercializzazione del vaccino volto a un preminente interesse di natura pubblica?
Si direbbe proprio di no. Visto che i vertici dell’azienda hanno pubblicamente dichiarato, nel caso il loro vaccino risultasse efficace, di voler massimizzare i profitti derivanti dalla vendita. Si parla di un’ipotetica capacità produttiva di 475 milioni di dosi, rivolta al sei per cento della popolazione mondiale.
La case farmaceutiche hanno però già quasi totalmente venduto la loro produzione a Paesi ricchi, con prezzo peraltro molto differenti tra loro. In alcuni paesi il costo è infatti arrivato a 35 dollari a dose, quando negli Stati Uniti oscilla tra i 12 e i 16 dollari.
I numeri dicono che paesi come Italia, Francia, Germania e Olanda hanno già assicurate una dose di vaccino per abitante. Mentre il Bangladesh ne ha a malapena una ogni nove. L’unica azienda che ha offerto la disponibilità del proprio vaccino ai Paesi poveri è AstraZeneca, di cui il 66 per cento della produzione è destinata a paesi in via di sviluppo.
Come fare per ovviare a un problema di enorme disuguaglianza tra paesi ricchi e poveri nell’accesso a un farmaco di importanza fondamentale per la vita e la morte di intere popolazione? Semplice: condividendo dati e conoscenze. Rinunciando a brevetti e monopoli. Ed evitando di vendere il proprio vaccino al migliore offerente, nella logica di mercato che richiede una rincorsa al rialzo dei prezzi. Come invece sta succedendo tutt’ora.
Giovanni Bernardi
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