Il Coronavirus ha rimesso al centro il tema dei vaccini, che spesso sono prodotti a partire da materiale fetale. Questi per la Chiesa, in alcuni casi, sono leciti.
In questi giorni infatti tutti i paesi del pianeta stanno concorrendo per essere i primi produttori di vaccini che siano capaci di sconfiggere il Coronavirus. La ragione è naturalmente umanitaria, per sradicare dal pianeta un male che produce ogni giorno numerose vittime. Ma allo stesso tempo ci sono forti motivazioni geopolitiche dietro questa competizione.
La speranza è che presto tanti cittadini nel mondo colpiti dal virus possano avere a propria disposizione una cura adeguata. Allo stesso tempo però il rischio è che la fretta finisca per essere cattiva consigliera e che porti a rischi considerevoli, in un tema così delicato come quello della salute. Dove entrano in gioco anche interrogativi di natura etica.
Ad esempio, è risaputo che in molti casi i vaccini vengano sviluppati in laboratorio a partire dall’utilizzo di materiale proveniente da feti abortiti. Un gruppo di scienziati ha di recente pubblicato un appello internazionale in cui si chieda che il vaccino per il coronavirus sia immune da questo utilizzo.
Da anni il mondo religioso avanza questa richiesta, e anche in questa occasione ci si interroga sulla moralità e liceità di un vaccino prodotto utilizzando cellule provenienti da feti abortiti anche volontariamente.
Ci si è interrogato ad esempio il quotidiano dei vescovi italiani Avvenire. Il sito Aleteia ha poi riportato quanto messo in luce dalla rivista americana Science, che cioè gran parte dei vaccini allo studio, compreso quello prodotto dall’azienda AstraZeneca e prenotato dal governo italiano, utilizzino già “due linee di cellule fetali umane ottenute da aborti volontari in donne gravide”.
Ovvero “la HEK-293 (linea cellulare renale fetale isolata da un aborto intorno al 1972) e la PER.C6 (linea retinica ottenuta da un feto di 18 settimane abortito nel 1985)”. Entrambe quindi utilizzate nei laboratori di ricerca e delle industrie biotecnologiche, dopo una prima implementazione nei laboratori olandesi dell’Università di Leiden.
Nella maggior parte dei candidati vaccini, quattro su cinque, queste due cellule derivano da quelle prelevate inizialmente da feti abortiti. Che verrebbero cioè utilizzati come “mini-fattorie” utili alla produzione di quantità molto più grandi di adenovirus. Necessari alla riproduzione dei geni del Coronavirus da introdurre nel paziente che stimolarne una risposta immunitaria.
Nel quinto, una di queste due cellule serve a produrre la proteina spike da iniettare nella cute del paziente da vaccinare. Si tratta perciò di replicare il tessuto ottenuto anche da aborti volontari. La posizione della Chiesa, tuttavia, è che se è immorale il primo passaggio di questo percorso, ovvero l’aborto, non lo è l’utilizzo di questo materiale genetico a fini scientifici, ovvero attraverso il processo di mitosi che porta alla sua replicazione.
In quel processo, cioè, non viene coinvolta più la persona, ovvero il feto, ma soltanto un tessuto cellulare. Al fine di curare altre persone malate, in questo caso milioni di infetti. Ad oggi, per la precisione, 23.694 milioni di contagi con 814.354 vittime nel mondo.
A spiegarlo è un documento pubblicato nel 2005 dalla Pontificia Accademia per la Vita e ripreso con una nota dell’Accademia nel 2017. L’obbligo morale, come condiviso anche dalla maggior parte dei teologi, è quello di dissociarsi pienamente dall’atto di aborto che è alla base della produzione delle linee cellulari fetali.
Ma che allo stesso tempo l’uso pro tempore di questi vaccini è lecito. Specie nel momento che si tratta di una condizione necessaria per la tutela della salute quando non della vita dei cittadini, come spiega Avvenire.
Nella nota, nello specifico, si spiega che “esiste il dovere di usare vaccini alternativi (non preparati a partire da cellule di feti abortiti) quando esistenti e disponibili, e di ricorrere all’obiezione di coscienza rispetto a quelli che comportano problemi morali”. Che “bisogna lottare per la realizzazione di vaccini alternativi quando non ancora approntati”.
Ma che allo stesso tempo “viene ammessa la liceità dell’uso dei vaccini senza alternative, moralmente giustificata quando necessario per evitare un pericolo grave per i propri bambini e per la popolazione in generale, in primis le donne in gravidanza“.
Una “dichiarazione di liceità” che, in definitiva, “non deve essere letta come un’approvazione alla loro produzione, commercializzazione ed utilizzo, ma come extrema ratio di fronte al dilemma morale dei genitori di agire contro coscienza o mettere in pericolo la salute dei propri figli ed in generale della comunità di cui si è parte”. Bisogna però mantenere alta l’attenzione, specie sul rischio che si aumenti tristemente il numero di aborti nel mondo per fini “scientifici”.
Giovanni Bernardi
Fonte Aleteia
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