La Santa Sede, viene chiesto, spinga per un accordo globale che garantisce a tutti i Paesi l’accesso al vaccino contro il coronavirus.
Nella ricerca per un vaccino contro il coronavirus, infatti, mentre governi e imprenditori privati spingono in maniera autonoma per la produzione dei vaccini, beni di interesse pubblico, tirando acqua al proprio mulino, cercando cioè i propri interessi, c’è chi la pensa in maniera diversa.
“Credo che la Santa Sede sia in una posizione ideale per spingere gli altri Stati ad arrivare ad un accordo mondiale che garantisca l’accesso di tutti i Paesi del mondo al vaccino anti Covid-19“, afferma il professore ordinario di Diritto internazionale a Ca’ Foscari Fabrizio Marrella, come riportato dall’agenzia giornalistica dei vescovi italiani Sir.
“Questo riconoscendo, al tempo stesso, una giusta remunerazione a chi avrà scoperto il vaccino”, spiega il docente nella sua proposta, spunto di indirizzo per un percorso nuovo e sicuramente più giusto, all’interno dell’attuale dibattito sulla produzione del vaccino contro il coronavirus. Tematica destinata a crescere nei prossimi mesi, quando si entrerà nel vivo di questa produzione medica.
I tentativi, infatti, purtroppo sembrano essere molto spesso indirizzati ad accaparrarsi fette di mercato anche in questo ambito di interesse così fondamentale per la salute pubblica. Contratti di natura commerciale si fanno piano piano spazio negli accordi tra gli Stati e le aziende produttrici.
Nonostante si tratti di un bene che potrebbe potenzialmente salvare la vita a un numero molto alto di persone e mettere fine all’angoscia legata al rischio di contagio da coronavirus. Nelle scorse settimane si sono viste numerose e molteplici battaglie sul fronte dei vaccini.
Prima con il tentativo degli Stati Uniti di accaparrarsi il vaccino tedesco in maniera privata. Poi la conferma che l’azienda farmaceutica francese Sanofi, una delle prima a produrre i vaccino più efficace, darà la priorità sempre agli Stati Uniti in quanto si tratta del paese che ha contribuito maggiormente alla ricerca in questo ambito.
Un’affermazione che ha fatto prendere una posizione contraria e irritata al presidente francese Emmanuel Macron, che ha ribadito che “il vaccino è un bene pubblico che deve essere fuori dalle logiche di mercato”. Auspicando “una risposta multilaterale coordinata per rendere il vaccino disponibile a tutti allo stesso tempo”.
Oltre la Francia, la Gran Bretagna ha già prenotato le prime 30 milioni di dosi del vaccino sviluppato dall’università di Oxford, insieme all’azienda italiana AstraZeneca. Per questo, l’obiettivo della politica intesa come difesa dell’interesse pubblico, dovrebbe essere quello di evitare che il vaccino finisca in mano solamente a un ristretto gruppo di interessati che detengono potere economico e politico in ambito globale.
Una distribuzione il più possibile ampia del vaccino dovrebbe accompagnarsi a una remunerazione ragionevole e non eccessiva dei produttori. Specialmente per permettere alle popolazioni più povere di potersi difendere dal virus.
Come auspicato in più occasioni da Papa Francesco, che ha invitato a “mettere insieme le capacità scientifiche in modo trasparente e disinteressato”. Ma, afferma il prof. Marrella, “una via c’è, ed è bene iniziare da subito a individuarla a condividerla”.
Perché “più tardi potrebbe non esserci tempo e l’emergenza potrebbe lasciar spazio a soluzioni troppo semplici e poco tutelanti per il diritto di tutti”. Il docente, membro del Gruppo docenti cattolici della pastorale universitaria veneziana, ha infatti spiegato che “la protezione dei medicinali, anche di quelli più importanti, è oggetto della normativa sui brevetti”.
Una normativa che ha un campo di applicazione nazionale, e dove ogni Stato ha una sua legislazione specifica. “A livello internazionale, quando – nel 1995 – è stato varato l’accordo istitutivo del Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, si è inserito uno specifico accordo, il TRIPs, per la protezione dei diritti sulla proprietà intellettuale”, spiega.
“Questo accordo, fortemente voluto dagli Usa, ha creato una norma valevole per quasi tutti gli Stati del mondo, che da un lato impone di tutelare i brevetti, compresi quelli sui farmaci, dall’altro prevede sanzioni anche pesanti per gli Stati che violano i brevetti altrui”.
Perciò il professore ha spiegato che di per sé il meccanismo di mercato non è dannoso, ma mostra i suoi limiti, in particolare “nel contrasto tra diritto del brevetto e diritto alla salute, ed è esploso sui farmaci salvavita contro l’Aids“.
Quando cioè Africa e India avevano bisogno di cure, con un numero molto alto di malati, ma i brevetti per avervi accesso continuavano ad essere di proprietà di alcune multinazionali statunitensi e svizzere. Perciò si è giunti, in quell’occasione, “a un compromesso: un emendamento all’accordo TRIPs, per cui un farmaco essenziale per salvare vite umane sfugge alla copertura da brevetto”.
Tuttavia, la procedura resta complessa e questa deroga è valida solo per i paesi in via di sviluppo. E la norma prevede che uno Stato produttore di farmaci essenziali non può esportarli con questa licenza, al fine di creare business.
Nell’agenda 2030 dell’Onu obiettivi ambizionisi, tra cui la fine della povertà estrema nel mondo, la lotta ai cambiamenti climatici e, anche, la salute e il benessere universale. Attraverso una copertura sanitaria universale, che comprende anche “l’accesso sicuro, efficace, di qualità e a prezzi accessibili a medicinali di base e vaccini per tutti”.
Una linea all’interno della quale dovrebbero perciò rientrare anche i vaccini. Per questo, conclude il professore, “potrebbe essere utile che, a livello internazionale, uno Stato prendesse l’iniziativa di dire che deroghe parziali al sistema di brevettazione si applicano al vaccino antiCovid-19, in quanto questo virus produce pandemia.
La posizione ideale potrebbe averla la Santa Sede, magari insieme al Governo italiano”. Un’azione diplomatica che darebbe seguito all’esortazione dell’enciclica sul Creato di Papa Francesco, la Laudato Si’.
Giovanni Bernardi
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