Vangelo di oggi 29 aprile 2018 – V Domenica di Pasqua – I settimana del salterio – ANNO B
Dal Vangelo secondo Giovanni 15,1-8
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo.
Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto.
Voi siete gia mondi, per la parola che vi ho annunziato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me.
Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.
Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato.
In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
PAROLA DI DIO
Il commento al Vangelo
Questo testo è stupendo per verificare la qualità del nostro rapporto con Dio e con Cristo (religio=legame). Oggi, in tante persone, più che l’ateismo, c’è un vago senso religioso, ma di una religiosità naturale, presente anche in chi non si professa cristiano. La religiosità naturale è un tentativo di tirare Dio dalla propria parte a forza di parole, riti o pratiche buone. Lui deve obbedire a noi e non noi a lui.
E’ chiaro che chi vive la religione in questa maniera superficiale, arrivi a dire che ‘una religione vale l’altra’ e che tutte le religioni siano uguali. Una religione vissuta così non penetra minimamente nella parte più intima della mia vita, dei miei sentimenti e non determina le mie scelte.
Un saggio si trova un giorno sulla riva di un torrente. Vede nell’acqua una pietra bianca; l’estrae, la spezza: all’interno è completamente asciutta. ‘Eppure — pensa — da tanto tempo questa pietra è immersa nell’acqua, ma l’acqua non è penetrata nel suo interno’.
Anche la nostra civiltà è immersa da tanti anni nel cristianesimo, ma forse il nostro io profondo ha ben poco di cristiano. Portiamo l’etichetta
di cristiani, ma manchiamo di una vita interiore forte che dia forma ai nostri comportamenti.
Questo Vangelo ci chiarisce in che cosa consiste il nostro legame con Cristo. Intanto Gesù dice: ‘Io sono la vite vera’. Non è vero che tutte le religioni sono uguali e che si equivalgono. Bisogna saper distinguere la ‘vera’ vite dalle altre. Quante viti, quanti messaggi contrastanti intorno a noi!
Tutti promettono di salvare l’uomo e di farlo felice, ma solo in Cristo c’è salvezza piena. Cristo è ‘la’ Via, ‘la’ Verità, ‘la’ Vita. Solo Cristo è il buon Pastore; solo Cristo è la Vite vera! Dunque, la vera religione consiste nel legame più profondo possibile con Cristo.
In un altro brano Gesù ha comunicato la forza e la tenerezza del suo amore per noi attraverso l’immagine toccante del ‘buon Pastore’.
Ma sembra che neanche quella figura sia abbastanza eloquente per lui e gli basti per dirci che la relazione che lo vincola a noi ha la stessa ‘alta tensione’ di quella che lo vincola al Padre.
Ed allora, ecco la folgorazione! La comunione tra noi e Cristo è talmente profonda, intima e vitale, che può essere ben raffigurata dall’immagine della vite e dei tralci.
L’essere cristiani non consiste tanto nell’aderire ad una determinata religione, nell’abbracciare una data dottrina o nel seguire una data morale, ma in una comunicazione e in una comunione viva con la Persona di Gesù, che è il Vivente e il Risorto.
Questa comunione con Gesù deve essere profonda, stabile e concreta. Per esprimere tutto ciò il vangelo di Giovanni usa il verbo ‘rimanere’ (in questo testo lo incontriamo ben sette volte!). Parola centrale. Dio è già in noi, siamo percorsi da lui, non c’è da cercarlo lontano, è qui, è dentro, scorre nelle vene dell’essere.
La comunione con Cristo non può essere intesa a piacere del soggetto. Ci sono degli elementi oggettivi ben precisi, che danno forma e contenuto a questa comunione. Dal vangelo di Giovanni risulta che ‘rimanere e dimorare in Cristo’ vuol dire:
1 – Dimorare nella sua Parola. ‘Se dite di dimorare in me, voi ascoltate le mie parole’. Leggere e meditare assiduamente la Parola di Dio.
2 – Osservare i suoi comandamenti. ‘Chi osserva i miei comandamenti dimora in me ed io in lui’.Soprattutto il comandamento dell’amore.
3 – Accostarsi all’Eucaristia. ‘Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me ed io in lui’. Ricevendo Cristo, pane di vita, io
vengo assimilato a lui, divento come lui. Tra me e Cristo si realizza il ‘meraviglioso scambio’: lui mi dà la sua carne, io gli do la mia; lui mi comunica la sua vita, io gli do la mia.
4 – Dimorare nella Chiesa. Il legame con Cristo implica un legame impegnativo e autorevole anche con il Corpo di Cristo, la Chiesa, la comunità cristiana, un legame oggettivo e strutturale. L’appartenenza a Cristo è qualcosa di fisico, vuol dire appartenere al suo Corpo che è la Chiesa, vivere un legame oggettivo, visibile, concreto, un’esperienza tangibile di paternità, di fraternità, di ‘consanguineità’, che diventa una condivisione reale della vita.
5 – Accettare le potature. E’ un’operazione che Dio fa su di noi per il nostro bene, perché così ci concentriamo sull’essenziale. ‘Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto’. Il germe di vita divina, ricevuto in noi il giorno del battesimo, si sviluppa anche attraverso la Croce. Si tratta della potatura. E’ un’indispensabile condizione di fecondità. Fa impressione vedere la ‘lacrima’ della linfa sgorgare dal tiglio, come il sangue da una ferita. Eppure quel gesto è davvero necessario. Infatti, il tralcio accorciato nel punto giusto, concentra tutte le sue energie nel futuro grappolo d’uva. Se il tralcio non viene potato, la forza della vite si disperde, la vite si inselvatichisce e produce solo pampini e uva selvatica.
Applicato a noi. La vita ci pota abbastanza: delusioni, fatiche, malattie, periodi bui… Il più delle volte ci ribelliamo e ci intristiamo. Eppure, l’accettazione serena delle contraddizioni della vita concentra la linfa vitale della nostra vita e ci permette di portare più abbondante-mente il frutto dell’amore. Il Padre non ci pota per mortificarci, tanto meno per castigarci, ma per fortificarci e farci fruttificare. ‘Il Signore corregge colui che ama’. Questi tagli, talora anche molto dolorosi, purificano la nostra vita e fanno scorrere con maggiore freschezza la linfa dell’amore del Signore.
L’unione con Gesù non è, dunque, un rapporto sporadico, saltuario o superficiale. Non è un vago affetto, un sentimento che va e che viene, non è una semplice illuminazione intellettuale, ma è vita concreta, che mi permette di portare molto frutto, soprattutto il frutto dell’amore.
Il legame con Gesù è essenziale e forte. Va ben oltre i nostri alti e bassi, le nostre buone e cattive condizioni e così siamo liberati da una vita spirituale altalenante.
Quando è cominciata questa comunione di vita con Cristo?
Stando all’immagine della vite e dei tralci, noi dal battesimo siamo stati innestati in Cristo, siamo diventati tralci della vera vita.
‘… Inseriti in Cristo, sacerdote, re e profeta, siate sempre membra del suo corpo per la vita eterna’.
Cosa vi è di più intimamente unito tra loro che la vite e il tralcio? Hanno la stessa linfa e producono lo stesso frutto. Questo vuol dire che dal battesimo noi siamo ‘partecipi della stessa natura divina’, siamo divinizzati. La vita di Cristo diventa la nostra: possiamo pensare come lui, amare come lui, agire come lui. ‘Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me’!
Il tralcio staccato dalla vite è un arbusto secco, morto, da buttare. La sua vita è la vite. Bisogna ‘rimanere’ in lui. Stare stabilmente in lui, permanere in lui, vivere in lui, per lui e di lui. ‘Senza di me non potete far nulla!’. Non poco o molto, ma nulla. Senza di me siete nulla, siete impotenti, siete inutili, siete improduttivi. ‘In me non potevo vivere, in te mi sento rinascere’ (S. Agostino). Noi viviamo solo se siamo innestati in Cristo Risorto. Rimanere in lui ci permette di fare la scoperta gioiosa che, se noi stessi siamo un’assoluta, vuota e drammatica inconsistenza, con lui e in lui siamo vita immortale, consistenza assoluta, felicità senza fine. L’uomo deve comprendere che la propria consistenza si trova nell’obbedienza, non nell’autonomia. Si tratta di una dipendenza da vivere anzitutto come fede e fiducia (nel senso di appoggiarsi a Cristo e non a se stessi) e poi come osservanza dei comandamenti (cioè nel senso di conformare la vita alle parole di Gesù e non ai propri progetti). Non è però la dipendenza del servo nei confronti del padrone, ma piuttosto la comunione che corre fra amici. Giovanni, infatti, non parla soltanto di rimanere, ma di un rimanere vicendevole: ‘Chi rimane in me e io in lui’.
Potremmo applicare anche alla domenica e ai giorni della settimana la parabola della vite e dei tralci. Somigliando la vite alla domenica e i tralci agli altri giorni. Questi ultimi restano senza frutto se non sono vivificati dallo Spirito che riceviamo nella Santa Liturgia della domenica. Restare nella domenica, ossia conservare nel cuore quello che vediamo, ascoltiamo e viviamo nella Santa Liturgia domenicale, vuol dire rendere più fruttuosi i giorni della settimana.
Ricordiamoci sempre che il nostro giudizio ultimo non verterà tanto sui peccati commessi e sulle nostre debolezze, ma saremo giudicati soprattutto sulla nostra fecondità o sterilità (frutti o solo foglie?).
Don L.